Magari è che da questo preciso momento sono in ferie e per me la Romagna sei sempre stata solo tu, col bombolone in una mano, la pesca nell’altra e l’accappatoio sulle spalle, sul pezzo, pronta a stringermi tutto. Di quello mi ricordo, il freddo nel caldo del tuo abbraccio appena uscito dal bagno del mattino con il mio corpo diventato di pastafrolla per essere stato troppo in acqua, nel mare, onda su onda, di fronte alla spiaggia 39 di Zadina di Cesenatico, che aveva gli ombrelloni azzurri, bianchi e blu. Oppure c’è che in questi mesi ho fatto quello che mi ripetevi avrei dovuto fare per stare bene bene, una casina solo mia e per i miei due ragazzi e una macchina nuova di zecca per partire verso il mare seguendo il Ferragosto e una Spider Rossa uguale a una cometa. Resta, cara Pina, nonnina mia, che ora, dico le 19 e 35 circa dell’otto agosto dell’anno 2024, mi manchi e vorrei chiederti di cambiare il super potere che mi hai dato con un altro di cui ho più bisogno. Ci fosse la possibilità, correrei tra le nuvole prendendo il primo volo Ryanair, farei la firma sul solito contratto celeste e baratterei il mio scrivere per farmi una telefonata con te, quella di sempre, la stessa di un’estate fa, “scendi giù?”, “sì, arrivo domani sera”, “ti faccio le tagliatelle col ragù o gli spaghetti col tonno?”, “gli spaghetti, nonna, sai che mi fanno da matti”, “stai qui a dormire o fai solo una scappata?”, “mi fermo, ma di sera vedo un paio di amici in Porta Saragozza e magari torno tardi”, “va bene, sto sveglia, ma ti lascio le chiavi”. Questo penso, questo mi viene, si potesse, nonna, nonnina mia, rivivere ogni anno i cinque attimi più belli della vita, anche solo una volta, pure per un pochino, cinque minuti, massimo dieci, il tempo che sembrerebbe giusto al tuo amato Signore Iddio. Sceglierei il mio primo bacio a lei che ora non so manco dove sia, poi la nascita dei miei figli, quelle due meravigliose e assonate mattine all’ospedale di Bergamo, forse un gol fatto di tacco in una finale regionale, sicuramente il giorno a Bologna accanto a te, all’inizio di ogni mia vacanza. Basta, ho finito, non vado più avanti, intanto perché piangere mi fa venire mal di testa, e poi, me l’hai insegnato tu, si scrive solo per chi c’è, “non ha senso, Matteo, mettersi di buzzo buono, con la Bic blu e il bigliettino della Coop per chi se ne è andato…”. Eppure lo faccio, sognando che Zuckerberg m’inventi sul momento il social per farmi collegare al paradiso, giusto per sapere che mi hai letto, che ne sei fiera e che tra poco mi dirai che sei commossa dalle mie frasi nuove, come sempre, come grazie a te lungo l’intera strada mia. Non so, intanto corro dai cinesi di via Baioni, prima che chiudano, per comperare una serie di palloncini e inviare nel cielo queste mie parole, sperando ti arrivino o, almeno, d’incontrarci per un secondo tra i pensieri.
Matteo Bonfanti
Nella foto: io e mia nonna Pina nell’estate del 1980 a Zadina di Cesenatico