Ho perso le parole, uguale uguale a lui, dico il protagonista di Radio Freccia, quando è nel casino, in quella scena leggendaria e drammatica dell’ultimo film che abbiamo visto insieme, il solo in cui io non mi sono addormentato mentre passavano le sigle iniziali. Le ho perdute per tanti motivi, intanto perché ho sempre pensato fossero un gioco mentre c’era chi, leggendole, sentiva almeno dieci spilli in fondo al cuore, e, poi, va detto per inciso, le ho smarrite la sera in cui l’ho vista piangere perché non c’era una mia frase che parlava dei suoi occhi. “Carezze”, già lo sai, del resto è il titolo della tua fatica letteraria, e pietre, lo aggiungo io, i due elementi da modellare a piacimento in word o con una penna in mano. Ho pensato al sipario, giusto rendertelo quell’attimo più facile, anche fosse mettermi a recitare su una sedia dopo un salto doppio e una canzone dello Zecchino d’Oro, ci ho messo la testa ieri, ma pure oggi pomeriggio, che almeno fosse presentarti nel modo migliore nel tuo giorno migliore, nell’atto pubblico del tuo estremo talento. Ma non ce la facevo, ero come quando fuori nevica, nel ma che freddo fa sentito da Nada nel febbraio del Sessantanove. Così, di buzzo buono, ho caricato l’intero me stesso sulla Panda, la luna soprattutto, i sassi nelle scarpe, la nebbia che mi porto dentro, la notte, che per me è così facile, il temporale, gli amori passati, la mamma e la stella polare. E ho fatto quei trenta chilometri necessari, al volo, fino all’Adda, per avvicinarmi a te, quasi che fosse matematica, meno è la distanza da un poeta, più le frasi arrivano forti e leggere, quasi come la pioggia in aprile. Ecco, quindi, la mia recensione del tuo libro, vecchio mio, papà, Marco. Chiedi a noi, che lo facciamo di lavoro, un giudizio sulle tue frasi messe in fila. Leggo da sempre ogni tuo scritto, sono spesso il primo a mettere il mi piace, sono tra i tuoi principali sponsor, e non per appartenenza, ma perché vali. Poco o moltissimo, questo è quanto, il fatto che una tua poesia mi ha cambiato la vita. Ero piccolo, era in giro, lasciata sul divano dell’appartamentino su in Falghera, e aveva dentro tutto, bere del vino, mangiare di gusto, ridere a crepapelle, cantare a squarciagola, commuoversi, ascoltare Vecchioni, far l’amore finché ce n’è, ricordarsi di ricordare, provare a dimenticare per amarsi un po’ di più, impegnarsi sempre e per sempre per un mondo che faccia piangere di gioia, esserne grati, aiutare gli ultimi dividendo la propria abbondanza. Ogni verso brillava. Lì, a sette anni, ho deciso che quella sarebbe stata la mia strada, far luccicare le parole. Proprio come fai tu nelle tue frasi tra l’universo, i tuoi gatti e il cuore. Proprio come ho voglia di tornare a fare anch’io in quel che resta del giorno.
Matteo Bonfanti
PS – All’Alchimia di Lecco, in Vial Turati, domani alle 18.30, martedì 19 novembre, la presentazione del libro “Carezze” di Marco Bonfanti, mio babbo, non mancate. E’ un libro che vale. Poi c’è la musica di Lello Colombo, super, e le letture di Marcella Lamberti, una grande