Chiesa a far casino tra le linee di un 4-3-2-1 forse inintelligibile anche ai viola, tanto da trasformarsi ipso facto in un modulo speculare al nerazzurro. Stavolta pure lontano da polemiche in quota Var. Largo sulla zolla di Castagne ma mica tanto, appaiato a Gerson (mezzala di ruolo, dietro le punte per onor di firma, basso c’è il rigorista Veretout, Benassi e un Dabo sfilato in corsia gli altri), col rinforzone di gennaio Muriel (inizialmente e per poco) guastatore unico. La Fiorentina-Atalanta delle grandi sorprese. Fin da ben prima del kick off. Distinte docent. In campionato, all’andata, era stato tridente classico contro 3-4-1-2. Partita che a ripensarci a distanza di mesi (era il 30 settembre e Ali Adnan sarebbe stato all’ultimo atto, seppur da riserva) fa solo rabbia per quel rigore da contatto che non c’era Toloi-Chiesa. Stavolta, nella partita a scacchi contro Gian Piero Gasperini, Stefano Pioli ha optato sulla carta per il paio di pedine pesantucce dietro il nuovo fenomeno dal volto più conosciuto del Belpaese. Non ci ha messo molto a cambiare idea allineandole. Il Profeta di Grugliasco, invece, con la formazione migliore al netto del jolly Pasalic, compassato ma di densità lì nel mezzo, al posto dello squalificato Freuler (stesso destino di Djimsiti), che in quel ko all’inglese era alle spalle dell’attacco con Gomez ancora fisso come punta. Troppa acqua sotto i ponti dell’Arno, di qua Pezzella, Simeone e Pjaca retrocessi in panca, dentro anche Ceccherini dietro. Niente turnover nerazzurro tra i legni, Gollini ha perso i suoi privilegi. La combinazione Gerson-Benassi-Muriel in avvio è un lampo da fuori che non becca lo specchio, di là si martella il lato sinistro della difesa di casa, con Hateboer-Ilicic a cercare di far breccia nel muretto a secco Biraghi-Vitor Hugo e Zapata a farsi anticipare intorno al decimo. Ma basta che Ilicic abbandoni la dimensione-nonna lamentosa illuminandosi d’immenso: recupero sulla trequarti difensiva e lancio da quella offensiva senza un cane che gli si incolli, mentre Dabo e Veretout – troppo schiacciati, solo Benassi fa le due fasi – si dividono i ringhi sull’argentino taglia-baby, che nondimeno sfrutta il primo dei due assist del perticone con SuperMario a pasteggiare sull’altro.
Dietro per vie centrali i locali sono in mood mezzo toscano: girano al largo e se Muriel prende la zolla ad Hateboer c’è Toloi che la risolve. Peccato per l’errore di valutazione di Pasalic che mette in ambasce Palomino sull’attacco del figlio d’arte accusato di tuffi: contropiede regalato e fuga per riaprirla. E dire che il pupo da plusvalenza a otto zeri non l’aveva mai presa. Purtroppo un’amnesia tira l’altra e Muriel sfrutta di sponda l’imbeccata del putto di platino per innescare la girata nel sacco dell’incredibile 2 pari di Benassi. Due errori di valutazione al netto del bel gioco espresso, situazione che nulla ha a che spartire con tattica e strategia. Forse fanno meno male dei gialli da squalifica per il ritorno di Toloi (aggancetto a Gerson) e Hateboer (faccia, che irregolarità sarebbe?). Fortuna che al di là dei moduli flottanti – quello ospite proprio no: sempre uguale a se stesso – il bagher non ce lo mette Berisha ma Lafont, che la porge a de Roon sul primo corner a sfavore nella ripresa. Se poi la botta dell’olandese nel sette trova l’aiutino del gluteo di Chiesa, inutile disquisire di numeri e posizioni. La legge del calcio trascende il calcolo razionale, si fonda sugli estri estemporanei. Di San Josip come di Martino il soldatino indistruttibile, che fa poche cose ma bene. Più artigianato che arte. C’è la guerra dei nervi da combattere, idem la battaglia delle soluzioni in corso d’opera. Fernandes per Gerson è un cambio che non incide, Simeone per Dabo eccome: Hans il tulipano gli regala il campo, Chiesa la piazza da destra e Palomino non ha la toppa per l’affondo di Muriel. Laurini rileva un Ceccherini da camera di rianimazione, tutti si stupiscono per Reca-Zapata, meno per Barrow-Gomez. Si vira al falso 3-4-3, difensivamente un 5-3-2, col polacco chiamato a dare un occhio in due direzioni. Se poi imbecca la fronte di Hateboer e la traversa dice no, inutile parlare d’altro: “Sono errori che ci hanno impedito di vincere”, l’ipse dixit del Gasp, “con troppe palle all’indietro”. Sottoscriviamo. Ma possiamo almeno spellarci le mani dagli applausi? Lo spettacolo lo esige e lo merita.
Simone Fornoni