Diciamocela tutta.
La partenza di Andrea ci ha scosso, principalmente, perché è come se se ne fosse andato via un amico.
Un amico che incontravi sotto casa, o in tabaccheria, o al McDonald a Orio, e con cui scambiavi due parole vere.
Un amico a cui chiedevi “allora come va?”, e la risposta non era mai costruita od omologata.
Gli occhi erano sempre veri, sinceri.
E poi ci ha scosso perché la sua storia, di grande rivincita, ci ha toccato.
Perché lo abbiamo persino cancellato e accantonato, all’inizio.
Ma la vita ti da il tempo di rimediare ai tuoi errori, e Andrea ne è stato un esempio meraviglioso.
Pentirsene sinceramente, pagare personalmente, e risorgere dalle proprie ceneri.
Andrea è un amico, e gli amici li vorresti sempre nella tua squadra del cuore.
Un amico, inoltre, che ha segnato il recente successo della storia dell’Atalanta, da vero protagonista.
Il primo gol europeo a Reggio Emilia, il gol al 92’ col Milan che ci regalò l’Europa, il salvataggio sulla linea (e oltre) a Napoli che ci diede lo sprint verso la Champions.
Ma l’Atalanta, forse, si sente o sta diventando “grande”, e per status societario non può, o non vuole, ragionare in termini di “affetto” e/o “riconoscenza”.
L’Atalanta va oltre qualsiasi nome, e l’ho scritto anche io ieri per cercare di tirarmi su.
Ma noi siamo atalantini proprio perché viviamo di “affetto”.
Ed è forse per questo, che molti di noi da ieri, sono un misto tra “deluso”, “ferito” e “triste”.
Noi non ci sentiamo più “grandi”.
Ma solo un po’ più “piccoli”.
Stefano Pagno Pagnoncelli