E sono dentro al Vestaglietta, il libro che ho immaginato, che a luglio ho consegnato a un editore, anche in gamba, che un mese dopo ho ripreso tra le mie mani perché sentivo troppo mio, sistemandone le parole manco si trattasse di un Nobel, per farlo uscire tra pochi giorni con la scrittina sotto, piccola piccola, ma pure bella grossa per il mio cuore, Bergamo & Sport, il giornale di cui sono il direttore da undici lunghissimi anni e a cui finirà ogni euro di guadagno.
Ho raccolto la pubblicità per poterlo stampare senza rischi per la mia azienda, ho scelto la carta più bella, la tipografia dei miei sogni, ho chiesto a Priscilla, la migliore illustratrice oggi in Italia, di farmi la copertina. Ho disegnato i gadget, portachiavi e magliette, che ci devono essere e devono essere un sacco bellini perché questa avventura sia un successo. Mi sono messo d’accordo con chi porta i libri a casa, con chi li mette nelle edicole, con chi li dà alle librerie, ho realizzato l’intera campagna per diffonderlo in ogni dove.
Mi sono inventato un percorso diverso da qualsiasi altro libro, un viaggio che sarà soprattutto a domicilio, come se il mio libro fosse una pizza ai quattro formaggi, che è la cosa che più mi piace al mondo e che ordino sul momento, in quel meraviglioso attimo che non so che cazzo fare da magnare e mi viene in mente il piatto che più mi fa stare a posto con la mia (discreta) panza.
Non ho tralasciato le edicole, il posto dell’anima mia per me che sono un giornalista, quelle di Lecco, la città dove sono nato e cresciuto, quelle di Bergamo, le mura che mi hanno accolto quando ero brutto, sporco e cattivo. Nelle due province farò presentazioni firmando ogni copia (e spesso offrendo da bere ai presenti) nei luoghi dove solitamente i libri non possono entrare. Penso agli alimentari di paese, alle salumerie, ai bar dei cinesi nelle periferie della Bassa, ai locali dove si suona, a quelli degli ultrà del Lecco e dell’Atalanta, ai negozi e alle fabbriche.
Ho fatto questo viaggio, a tratti massacrante, lavorando dalle diciotto alle venti ore al giorno, per etica e per senso di responsabilità, qualcosa che ho da sempre e che mi contraddistingue, perché sono figlio di Marco e di Valeria, due insegnanti che alle parole e al proprio posto di lavoro ci credevano un sacco e ancora lo fanno, persino adesso che sono in pensione.
Ma l’ho fatto anche per altri due motivi, il primo è che ho un’innata curiosità, quella che si deve alla canzone “per fare un tavolo ci vuole il legno”, sentita mille volte da bambino. Mi è saltata addosso la voglia di capire due cose, innanzitutto quanto costi fare un libro (poco poco), poi quanto sia il valore delle mie frasi, ancora meno, un misero undici per cento del prezzo di copertina e questo col migliore degli editori possibili, altrimenti è il sei o il quattro (e a volte solo dopo le quattromila copie vendute). E per il mio libro ho fatto scelte opposte, tenendolo appunto in casa, il mio giornale.
In più c’è il tema, il Vestaglietta, il mio personaggio, che sono io, ma quando sono il massimo possibile di me. Con la vestaglietta di mia mamma in acrilico cinese altamente infiammabile sto allo scazzo a coccolare i miei figli, Vinicio e Zeno, sul nostro divano rosso fuoco, scordandomi dei secondi, dei minuti e delle ore. Finalmente li guardo, dimenticando tutto il resto, il mio cellulare e ogni mia miseria. Se metto la vestaglietta, sono buono buono, tranzollo e pacifico, con una tenerezza quasi da peluche, da orsetto della Trudi.
Come scritto nel libro, mi accorgo che in vestaglietta potrei ospitare tranquillamente tre scoiattolini in casa mia, dandogli ogni volta da mangiare, senza accopparli come ho fatto col criceto dei miei figli, Suzuki, morto di stenti perché i miei bambini erano in vacanza e io mi ero scordato dell’animaletto.
Va così, in questa smisurata bontà, che mi sono messo a cercare in mille negozi cinesi lo stesso modello di vestaglietta sottratta dieci anni fa a mia mamma a Valgreghentino. E non c’è. Talmente brutta da essere stata messa subito fuori produzione, la sola penso l’abbia comperata mia mamma. Un peccato perché era il gadget dei miei sogni. A chi acquisterà il libro prometto che la farò indossare almeno una volta, perché è speciale e magica, capace di rendere anche i cattivissimi buonissimissimissimi (come le lasagne sul menù della mitica Giuliana D’Ambrosio, il ristorante che mi stramanca).
E ora buonissimissimissima Atalanta. Io me la vedo in vestaglietta, concentrandomi di brutto, perché battere la Lazio sarebbe davvero un’incredibile goduria.
Grazie a chi ci ha creduto mettendo il proprio logo in fondo al libro e a chi ha acquistato il Vestaglietta ancora prima della stampa. Sono tanti tanti, sia chi ha fatto la pubblicità che chi l’ha già preso, sono amici. E non era accaduto mai in un altro posto al mondo, manco in Groenlandia o in Quebec, che sono nazioni dove si legge un sacco, luoghi dove metà della popolazione passa gran parte della propria vita in libreria o in biblioteca (anche perché fuori fa un freddo cane).
E’ il segno che qui da noi, a Bergamo e a Lecco, siamo tutti un po’ Vestaglietta. A realizzare i nostri sogni, a fare in modo che gli altri li realizzino, con calma e in relax, su un divano rosso fuoco mentre si gratta il crapino ai propri popini, in vestaglietta (o in pigiama). Gufando la (pessima) squadra di Inzaghi e di Lotito…
 
Matteo Bonfanti