Dopo aver fatto vedere, per sbaglio, le chiappe all’intera Seconda B della Scuola Media Codussi, dico anch’io la mia sulla didattica a distanza, la famosa e ormai famigerata dad. Ma prima do la mia dettagliata versione dello spiacevole accaduto, anche per scagionarmi nell’eventualità che uno di questi ragazzi si butti in futuro nella droga per aver visto oggi il mio culo on line.
Come è successo: sono le otto di mattina e sto dormendo beato nel lettone di casa nostra. Le imposte sono chiuse e io, per la seconda volta in una settimana, sto facendo lo stesso sogno: non so come, non so perché, la mia Pandona Aranciona a Metano si trasforma in un bar mobile. Ha una serie di pulsantoni sul volante, ognuno di un colore diverso, per fare cocktail buonissimi sul momento. Schiaccio il tasto rosso e dal bagagliaio un braccio metallico mi serve al volo un Negroni, pigio quello verde e mi arriva un Moito. Insomma una figata. Nel sogno bevo come un ossesso, un sacco di Spritz (tasto arancione) e parecchi Cuba Libre (tasto marrone), ma senza ubriacarmi.
Così quando Zeno e il suo prof di religione, va detto un bravissimo tipo, buono buono, mi svegliano, non ho il mal di testa post sbronza. Sento la voce del parroco in lontananza, sta dicendo qualcosa su Gesù e sulla Madonna, sostiene dolcemente, ma pure in modo fermo, che non ci sono cazzi e mazzi perché “i due sono esistiti e bisogna diffidare di chi, su internet o per strada, nega la cosa”.
Vorrei anche dire la mia, ma non ho ancora bevuto il caffè, quindi mi astengo e mi metto a larvare, che è una disciplina che piaceva da matti a mia sorella Chiara quando eravamo bimbini: si sta lì, a letto, in modo ostinato perché ormai si hanno aperto gli occhi, ma non ci si tira su manco per sogno, evitando anche il minimo spostamento per non riaccendere l’intero proprio corpo. Passo una buona oretta in quello stato e sul pc di Zeno compare la prof di italiano, che deve essere simpaticissima, e che tiene la classe abbastanza in pugno, minacciando note a destra e a manca agli studenti che non seguono la sua spiegazione o che lo fanno, ma solo al trenta-quaranta per cento. Ze, ovviamente, è tra questi, un occhio alla docente, sul computer, l’altro a scappellarsi sul cellulare, in videochat con gli altri due adolescenti, Vinicio e Miranda, che nelle rimanenti due stanze della casa stanno facendo la loro dad quotidiana.
E’ lì che decido di alzarmi, optando per un veloce cambio di mutande. In quell’attimo, come sempre quando cerco di non essere visto, la prof chiama a rapporto Zeno, e proprio dietro di lui ci sono io che traffico a chiappe nude. E non importa che sto battendo il record di sempre, sette secondi e ventisette centesimi per passare da un intimo all’altro, manco i meccanici della McLaren sarebbero stati così veloci, la docente e gli studenti vedono il mio culo rosa, rimanendo, credo, scioccati per sempre.
Ok ok, sono il solito stordito. Ma dove altro avrei potuto effettuare l’operazione? La casa è piccola e i tre adolescenti se la sono spartita equamente. Nella Stanza Numero Uno c’è Vinicio, il capofamiglia quattordicenne alto alto, gran bel tipo, ma che s’incazza come una biscia se vado a trovarlo mentre sta facendo la dad e rischio che me ne dia una carretta, nella Stanza Numero Due, la sala, ecco Miranda, che è mia nipote e non è sangue del mio sangue e non è il caso che mi veda biotto, nella Stanza Numero Tre fa scuola Zeno, che è un tranquillone, e in più è lì che ci sono i cassetti con le mie cose.
Questa è una vicenda, quindi racconto il secondo episodio traumatico legato alla dad e poi dico la mia. I fatti accadono tre o quattro giorni fa quando Vinicio ha il compito in classe d’italiano e non ha voglia di scrivere il tema, argomento Ettore e Andromaca, lo struggente addio tra di loro prima che il guerriero troiano decida di andare a farsi accoppare da Achille. Bellissimissimo, che lui, intendo Ettore, è uno che di sta figa di guerra non vorrebbe neppure sentire parlare, piuttosto ridere, cantare, far l’amore e bere vino con lei, intendo Andromaca, che è una figa paurosa e che lo ama da impazzire. Ma lui va a combattere, lo fa per la sua sacra famigghia, perché un giorno siano liberi da chi li opprime. Da applausi. Bene, io e Vinicio, abbastanza in coppia, facciamo il testo con le nostre considerazioni, esageriamo quell’attimo con la chiave Peace and Love, ma ci sta, io sono figlio di figli dei fiori e lui è figlio di figli di figli dei fiori.
Finiamo il tema, siamo fieri. Lo rileggiamo, ci scappelliamo, Vinicio, preso dall’entusiasmo, mi tira le due solite pappine in pancia, resto senza fiato, mi riprendo, consegniamo il nostro elaborato, tempo un’ora il prof ci dà il voto, pensiamo a un dieci, metto in frigo l’Amaro del Capo, pronto per brindare a un grande risultato. Invece ci dà cinque. Cinque, cazzo, un’insufficienza senza se e senza ma. Cinque, porcaccia di quella troia. Cinque a me che di lavoro scrivo. Cinque, lei non sa chi sono io. Cinque, solo cinque. Non cinque e mezzo che un po’ ti dà speranza, cinque secco, che è dirti: “Uella Bonfanti, tu in questa cosa non sei portato”.
Dopo queste due esperienze di didattica a distanza, le mie considerazioni, la prima è povero me, la seconda è poveri i miei figli, la terza è poveri i prof. Quindi adesso faccio una pausetta dal lavoro, mi infilo nella chiesa qui accanto alla redazione e mi metto a fare una preghierina lunga lunga, almeno mezzoretta, metà pensando a Gesù, l’altra con in testa la Madonna, che, lo ricordiamo ai negazionisti religiosi, sono davvero esistiti. Gli chiedo di guardare giù e di portarci via il covid, anche per la scuola italiana, che quando è on line rischia di scioccare gli studenti per sempre e di fare sentire dei falliti i rispettivi genitori, mettendogli addosso seri dubbi sulle proprie capacità lavorative.
Matteo Bonfanti
Nella foto la delusione negli occhi dei due Bonfanti dopo aver preso cinque in italiano