Pur che il popolo nerazzurro è di quelli che hanno nel dna “prima di tutto la salvezza”, chi ha visto ieri la partita contro l’Udinese non può non avere avuto gli stessi pensieri stupendi che sono venuti a me, ossia la festa scudetto a fine maggio sul Sentierone e il tricolore sulle maglie dell’Atalanta nella prossima stagione. Non voglio bullarmi, perché come mi dice sempre il decano del giornalismo sportivo orobico Giacomo Mayer “te de la Talanta ta capeset un casso”, ma a fine agosto io l’avevo già detto, con gran parte degli atalantologi più famosi a prendermi per il culo. Loro stanno cambiando idea, piano piano, un passettino alla volta verso il sogno centenario della Bergamo che ama il football.
Il ragionamento che propongo ai nostri lettori è lo stesso fatto in estate, le pretendenti al titolo di campione d’Italia sono sostanzialmente tre. C’è, ovviamente, la Juventus di Sarri, che però è stato preso solo ed esclusivamente per vincere la Champions League, c’è l’Inter di Conte, che è un allenatore che fa la differenza, ma che è al suo primo anno sulla panchina del Biscione e che per trovare uomini e meccanismi perfetti ha bisogno di tempo, e poi c’è l’Atalanta.
Che, diversamente dalle altre due grandi Signore del nostro football, non vive un momento di transizione, ma di consolidamento dopo il meritatissimo terzo posto raggiunto nel 2018-2019.
A una squadra già fortissima e con l’allenatore migliore oggi in Europa, Percassi ha aggiunto due elementi che le sapienti mani del Gasp stanno trasformando da buoni calciatori a top player. Parlo di Luis Muriel, ieri stratosferico, e di Ruslan Malinovskyi, che è attualmente il massimo dell’estetica calcistica al servizio dell’organizzazione perfetta che deve avere una squadra moderna che ha come mantra quello di far divertire il pubblico sugli spalti.
Ieri sera mi ha colpito l’intervista post partita rilasciata da Filippo Inzaghi, mister di una Lazio in grado di vincere al Franchi contro una Fiorentina zeppa di talenti. “I punti persi con l’Atalanta? Penso che si debba parlare di un punto guadagnato, perché, attualmente, la squadra nerazzurra è quella più in forma della Serie A, l’unica che aggredisce sempre l’avversario, la più difficile da affrontare”.
So benissimo che il popolo nerazzurro non ama il tecnico biancoceleste, va detto giustamente, eppure è il primo mister che annovera la nostra Dea tra le poche che se la giocheranno fino in fondo per il primo posto. Perché c’è il Gasp, che dal punto di vista tattico somiglia sempre di più al famoso mago della lampada, e che, per la prima volta nella sua epopea atalantina, non ne ha undici forti forti, ma almeno quindici, che significa che se Zapata è fuori per infortunio, non c’è da avere nessuna paura perché c’è il connazionale Muriel che, come da previsione, con l’allenatore di Grugliasco sta triplicando il suo valore. Tralascio di parlare del Papu, arrivato a trentun’anni ad essere un giocatore totale, il solo nell’attuale Serie A che sa ricoprire meravigliosamente i quattro ruoli che ci sono in attacco. E poi Ilicic, altro elemento che nessuno ha, tra i tre che in Italia saltano sempre l’uomo creando la superiorità numerica offensiva che rende la nostra Dea la squadra che fa più gol e quella che crea più azioni pericolose.
Cosa serve per vincere lo scudetto? Secondo me c’è già tutto, una difesa tosta, un centrocampo dal dinamismo impressionante e un attacco stellare. Se proprio, consiglierei una cosa al Gasp, quella di rinunciare al già difficilissimo cammino europeo, partito sotto gli auspici della malasorte, per concentrare l’intero gruppo su un unico meraviglioso obiettivo, quello centrato in Inghilterra dal Leicester di Ranieri e in Italia dal Verona di Bagnoli, due formazioni che somigliano tantissimo all’attuale Dea per entusiasmo, convinzione e solidità.
Leggo oggi di Ibra, l’ultimo santo esistente del dio del pallone, in fuga dall’America, alla ricerca di una collocazione in Italia. Dove meglio che a Bergamo?
In ultimo un gigantesco grazie ai tifosi, persone meravigliose, che si stanno facendo apprezzare in tutta Europa perché tra le pochissime a vivere il calcio come una festa. Domenica la Nord ha esposto uno striscione per Ennio Arengi, il nostro straordinario collega che per vent’anni ha seguito le vicende nerazzurre, scomparso settimana scorsa. Un gesto di grande sensibilità, che è una dote rara, che di questi tempi hanno in pochissimi. Non allo stadio, la casa dell’Atalanta, un posto magico dove la gente non dimentica chi ne ha raccontato meravigliosamente le gesta.
Matteo Bonfanti