C’è chi perde la seconda di fila ed è pur sempre sesto, e chi invece ingrana la terza col segno meno davanti ritrovandosi in zona playout. Chiaro come il sole che la corsa Champions e la serie C pari non sono, ma la domenica appena trascorsa ha avuto il potere innegabile di livellare gli orizzonti dell’Atalanta e dell’AlbinoLeffe nel segno della crisi. Di risultati e un po’ di gioco dei nerazzurri al piano di sopra, soprattutto di testa della Bluceleste, che nemmeno la staffetta in panchina tra Beppe Biava e Claudio Foscarini è riuscita a risollevare, moralmente più che tecnicamente. Senza scomodare le possibili conseguenze dell’Inchiesta Prisma su scambi e plusvalenze con la Juve, le cui carte sono state passate dalla Procura di Torino ai colleghi bergamaschi, anche chi a oggi classifica alla mano sarebbe in Europa League sembrano pesare pensieri e retropensieri sul già fatto e su quanto resta da fare da qui al gong.
Il parallelo, o meglio il paragone impossibile, è firmato dal dopogara del veterano della Marca, già tra i protagonisti della risalita della Dea del pallone dalla C1 alla massima serie nei mitici anni ottanta e adesso accomodato sulla tolda di comando più scomoda possibile, quella del secondo polo del calcio professionistico made in Bergamo. “Noi non siamo una squadra da uno contro uno come l’Atalanta“, una delle frasi celebri pronunciate dal mister un tempo famoso per aver sfiorato la promozione col Cittadella. “Tecnicamente abbiamo commesso troppi errori, ma abbiamo comunque dato tutto. Noi siamo questi, stiamo facendo un campionato che comunque non è il nostro: poche prestazioni in stagione sono state valide sul piano tecnico, e non è che Lookman possa segnare con la stessa frequenza del girone d’andata”, l’ipse dixit da salottino di Gian Piero Gasperini, l’omologo dei grandi, a San Siro. Lo scivolone vero era stato col Lecce in casa, ma stavolta non s’è affacciata all’orizzonte nemmeno la mera ipotesi di potersela giocare. Una resa a livello mentale, pur senza spalancare praterie o regalare alcunché. Accompagnata dal ridimensionamento a parole di chi dà ordini, come dire che il primo posto delle prime giornate e il terzo alle soglie di due sconfitte senza appello erano un extra superiore alle caratteristiche e alle possibilità della rosa.
Renate e Milan hanno pasteggiato sulle sventure di entrambi. Le Pantere concedono il temporaneo 1-1 da eurogol di Jacopo Manconi, undicesimo d’annata, e la zampata per il 2-3 della bandiera di Momo Zoma, di fatto avanzato a punta effettiva a destra, sulla percussione da rimessa Petrungaro-Borghini-Rosso, senza che nell’arco dei 95 minuti si fosse mai visto un impianto di gioco corredato di qualche idea buona. I cugini ricchi, dal canto loro, non è vero che non abbiano mai tirato in porta, visto che Joakim Maehle al 14′ del primo tempo l’ha pur fatto anche se gli scoutman della Lega di Serie A non se lo sono segnato a taccuino, ma sono comunque stati discretamente impallinati. A tenerli teoricamente in una partita che non c’è stata, col duo olandese De Roon-Koopmeiners e l’impalpabile Ederson sotto ritmo, gli errori di mira di Leao e Messias che poi ha doppiato lo stesso l’autogollonzo di schiena di Musso. Nessuno nell’Atalanta ha fiato, gamba e forse anche fisico per tenere Hernandez, Giroud e Diaz; nessuno nell’AlbinoLeffe ha limitato il raggio d’azione del regista Esposito, semiassist per il secondo sorpasso di Sorrentino e assist per la doppietta di Ghezzi, e di questi ultimi due, ovvero Borghini e Gusu dove siete? Che la settimana a cavallo del marzo che inizia porti consiglio ai due comandanti e alle rispettive truppe.
S.F.