Non so che ricorrenza sia, se sia quando è nato oppure quando s’è sparato in faccia, resta che mi passano mille foto di Kurt Cobain, l’amore mio più grande da ragazzo, perché con Fabri, Vito, Lupo e Nic facevamo punk, che all’epoca si chiamava grunge, e mi è restato addosso, sempre, in ogni esperienza di vita o artistica che ho fatto. Sono quello, pure quando scrivo per il mio giornale sportivo, che narra i dilettanti, gli ultimi della fila del calcio, mai i calciatori della Champions League. Sono il figlio della sua musica e dei suoi pensieri, che vale la passione in quello che fai, non per chi o a che livello, lo sono anche adesso a distanza di quasi trent’anni e al mio funerale vorrei che in sottofondo ci fossero Smells Like Teen Spirit e Come As You Are, lanciate a bomba con gli altoparlanti contro i potenti e le ingiustizie. Kurt è stato un uomo e un musicista straordinario, in grado di cambiare dal profondo la mia generazione. Prima di lui c’erano i paninari, l’abito che fa il monaco, valere nelle vie del centro città solo se hai le Timberland ai piedi, i jeans di Giorgio Armani e i figli di papà del Fronte della Gioventù tutti intorno. Dopo c’erano le nostre frasi di protesta, il movimento, Genova, i miei vestiti vecchi e secchi, presi in prestito da una scatola nella cantina di mio nonno Cesarino. Prima le Nike, poi le Mike. Immaginatevi la liberazione. Prima i nazisti dell’Illinois, i famosi Guns and Roses, violenti, machisti e neofascisti. Dopo l’arcobaleno, la consapevolezza che siamo tutti in toto o in parte omosessuali, fragili e sensibili, da maneggiare con cura, l’idea che si faccia arte per salvare i poveri cristi, perché i problemi li abbiamo noi che non ce la facciamo ad arrivare alla fine del mese, non il proprietario dello yacht che inquina l’intero lago mentre pasteggia a champagne con la serie di fighe a bordo. Prima la coca. Dopo l’erba. Prima il divo col taglio a spazzola, la Porsche, la rifattona ignorante. Dopo il rifiuto, la barba, i capelli lunghi, la Centoventisette, la ragazza acqua e sapone laureata in filosofia, magari con gli occhiali spessi e la chioma colorata di viola grazie allo shampoo da mille lire. A Kurt devo tanto, innanzitutto l’essermi divertito così a lungo con una chitarra scacciona, poi una visione del mondo meravigliosa, quindi almeno tre canzoni fondamentali, Lithium, Polly e Pennyroyal Tea. E mi piacerebbe chiacchierarci ora, raccontargli quanto mi abbiano aiutato Nevermind e In Utero a stare bene bene, lui che invece ne ha sofferto al punto di ammazzarsi.
Matteo Bonfanti
giovedì 6 Aprile 2023
Kurt Cobain, l’uomo che ha cambiato la testa alla nostra generazione, il musicista che amo
Commenti
Mauro
Al “facevamo punk che all’epoca si chiamava grunge” ho smesso di leggere…poi mi sono detto che non c’era motivo di bollare un articolo come inutile per una cagata iniziale e ho continuato. Ecco, avrei dovuto fermarmi.