Ne avevo già scritto quindici giorni fa, quando avevano iniziato a sospendere i nostri diritti, che paghiamo con le centinaia di tasse che abbiamo in busta paga, i nostri doveri, che ci danno da mangiare, e gli svaghi di una vita, per me il pallone a Orio, ripetendoci dalla televisione “ma tranquilli, che è poco più di un’influenza, non facciamoci prendere dal panico, l’Italia non si ferma e nessuno deve farlo, è tutto come prima, andate pure in giro”. Ovviamente ho detto i miei dubbi, perché non mi tornavano un sacco di cose, soprattutto le loro decisioni che andavano in direzione ostinata e contraria rispetto alle loro parole, ma visto che c’erano già parecchi malati e due zone rosse accanto, con la mia penna ho cercato di non fare male a nessuno, parlandone con dolcezza e sensibilità. E per senso di responsabilità mi sono allineato, cambiando la mia vita nel profondo, perché coi figli che non vanno a scuola è un gran casino, perché lavorare da casa è il cinema. Gli ho creduto e ho pure sostenuto i miei concittadini, andando ogni volta all’aperitivo come consigliava di fare il mio amato sindaco. Se serve alla collettività, lo si fa, col sorriso.
Poi di fronte agli ospedali pieni e ai primi morti vicini vicini, hanno smesso di raccontarci la loro favoletta, spiegandoci che era grave grave e non dovevamo uscire più, chiedendoci qualcosa di gigante, di isolarci, rinunciando persino a vedere i nostri cari, che nel mio caso stanno di là dall’Adda e non incontro da quasi un mese per paura di incasinarli, di attaccargli questa cosa, di mandarli all’ospedale. E l’abbiamo fatto tutti, tutti tutti qui da noi, a Bergamo, persino nel giorno più importante per chi come me scrive di calcio, la giornata migliore per i tanti miei amici che hanno il cuore che batte sempre e solo per l’Atalanta, tappati in casa nelle ore del trionfo, senza manco vedersi la partita insieme alle persone più care. Se serve alla collettività, lo si fa, col sorriso.
Poi però ieri a me è crollata la fiducia in chi ci comanda, quelli al governo, quelli in regione e quelli in comune, e ho perso quel sorriso che non mi è mai mancato in queste nostre settimane difficili. Mi è successo quando il premier, dal suo palazzo dorato, ci ha comunicato le ultime decisioni prese d’accordo con quegli altri, la minoranza. “Blocchiamo tutto – ha detto -. E’ un sacrificio necessario perché a incontrarci succede che muore un sacco di gente. Nessuno deve più andare a lavorare”.
Tranne gli operai.
Ora io non mi considero affatto intelligente, l’ho già scritto, sono un miracolato, sono riuscito a diplomarmi al liceo scientifico perennemente col quattro in fisica e in matematica. Eppure qualcosa ho capito e vorrei ci arrivassero tutti, tutti tutti, ed è che siamo comandati da gente che o è stronza o è bugiarda o le due cose insieme. Perché se mi tengono a casa per salvarmi, ma invece Marco, Davide e Luca li mandano a lavorare, mi stanno dicendo che ci sono italiani che vanno tutelati, io, i miei figli e i miei genitori, e altri, gli operai, che possono pure beccarsi questa sfiga, loro e i loro cari. Ieri il nostro parlamento, destra e sinistra unite nella lotta, ci hanno detto che non siamo più una democrazia, che è quando i cittadini, tutti, tutti tutti, hanno gli stessi diritti, in questo caso evitare di ammalarsi.
Non sto a dire quanto siamo stati lasciati soli, che in un Paese normale, di fronte a un’emergenza, i governanti pensano a ogni cosa, persino al dramma della solitudine di chi ora è ancora più solo e sta passando fuori di testa, oppure a chi in questo momento non sa come arrivare alla fine del mese perché la sua attività è chiusa fino a data da destinarsi, o, ancora, alle tante donne che verranno maltrattate in quarantena. Più dell’incazzatura per via dell’incapacità di chi ci comanda, che li porta a prendere identici provvedimenti nel centro dell’emergenza, Bergamo, come a Caltanisetta, dove non c’è manco un malato, provo la rabbia di un principio calpestato.
E quando i governanti arrivano a tanto, per tutelare i propri lauti stipendi, coi soldi delle imprese, non si sa dove si va a finire. Perché i cittadini perdono le due cose più importanti, il sorriso e il senso della collettività.

Matteo Bonfanti