di Giacomo Mayer
“Nunca mais”, mai più, titolarono i giornali brasiliani il 17 luglio 1950. La notte del 16, al Maracanà, il Brasile aveva perso il campionato mondiale. Furono Schiaffino e Ghiggia, che poi giocarono nella Roma e nel Milan, con i loro gol a perpetrare la tragedia di un popolo. Sono trascorsi sessantaquattro anni e per la ventiduesima edizione ecco nuovamente il Brasile, “ordem e progresso” come sta scritto sulla bandiera verdeoro. Come sessantaquattro anni fa la nazionale brasiliana è la strafavorita del torneo ma da Manaus a San Paolo, da Rio de Janeiro a Curitiba il popolo cerca di scacciare l’incubo maledetto. Anche perché le rivali sono forti e agguerrite: Spagna, Germania e Argentina soprattutto, senza dimenticare Francia e Italia e magari Uruguay. Non si sa mai, il destino può ripetersi, nemesi o meno. Eppure c’è un’altra leggenda che aleggia da sempre sulla Coppa del Mondo: le nazionali europee hanno vinto una sola volta le edizioni disputate lontano dal Vecchio Continente, la Spagna quattro anni fa in Sudafrica.
Il Brasile di oggi non è invincibile come le verdeoro degli anni settanta. Quando c’erano fuoriclasse in abbondanza soprattutto in attacco anche perché, a parte Neymar che comunque deve ancora esplodere, Hulk, Fred, Jo e Bernard non incantano. Scolari, però, probabilmente ha a disposizione la più forte difesa di sempre con Thiago Silva, David Luiz, Dani Alves e Marcelo, di qualità e molto solido il centrocampo con Luiz Gustavo, Ramires, William, Oscar e Fernandinho.
Alla pari l’Argentina che, tecnicamente, è più forte con un solo punto debole: il portiere perché Romero e Andujar sono tutt’altro che fenomeni. Messi, Aguero, Higuain, Palacio, Lavezzi e Di Maria spaventano le difese del mondo intero. Intanto Messi, superpallone d’oro, cerca in Brasile la consacrazione di giocatore più forte del pianeta.
La Spagna, campione del mondo, ha trionfato in Europa con Real Madrid, Atletico e Siviglia mentre si è palesata la crisi del Barcellona. Eppure resta la nazionale da battere, in difesa non c’è più Puyol ma è difficile trovare un punto debole e, stavolta, Del Bosque ha un centravanti vero, che ha rubato al Brasile, Diego Costa.
La Germania non vince un mondiale da ventiquattro anni, due terzi posto nelle ultime due edizioni, si è preparata per far piangere i brasiliani. Joachim Low ha a disposizione tanti campioni come Lahm, Neuer, Reus, Gotze, Muller, Ozil, Khedira, Schweinsteiger, Kroos. Manca qualcosa in attacco perché Klose, Podolski e Schurrle non sono fulmini e saette. Ma per vincere una coppa del mondo basterebbero.
Non mancano le outsider a cominciare dall’Uruguay: la coppia Cavani-Suarez (se recupera) è tra le più forti e prolifiche e in tutti i reparti Tabarez ha giocatori esperti e solidi. A seguire il Portogallo con Cristiano Ronaldo che vuole rubare lo scettro a Messi e con una rosa qualitativamente competitiva; la Francia esperta e con l’astro Pogba, il Belgio dai molti talenti, l’Olanda del trio Robben, Sneijder, Van Persie; poi l’incognita Inghilterra. Attenti a Croazia e Bosnia mentre le africane non riescono mai a fare il salto di qualità.
E l’Italia? E’ da ottant’anni (1934 prima partecipazione primo titolo) che i mondiali degli azzurri sono sempre tormentati, ricchi di polemiche, di successi, di amori e di cocenti sconfitte. I nostri ct da Pozzo a Prandelli, sempre discussi per poi esaltarli quando i vincono. Anche oggi è così. Se il campionato italiano sta attraversando una crisi senza precedenti, la nazionale azzurra è pur sempre vicecampione d’Europa. Ha vinto senza problemi il girone di qualificazione, peraltro non proibitivo e si presenta in Brasile nel ruolo di guastafeste. Conquistare i quarti di finale obiettivamente sarebbe un bel traguardo ma nulla è vietato se Buffon para, Pirlo gioca e Balotelli segna. Certo il girone D è il più difficile. Eppure è storia: nelle difficoltà la squadra azzurra si è sempre ritrovata.