Travolto e scosso dalle pesanti critiche dei miei famigliari, “sei grasso da far schifo”, ricevute durante la cena a casa di mia mamma per festeggiare i 53 anni di Riccardo, l’ormai famosissimo marito di mia sorella, tra i pescatori di cavedani e di alborelle più stimati in Italia, nel pomeriggio di martedì 18 agosto mi appresto a rimettermi in forma con tanta speranza e rinnovato entusiasmo.
Finisco di lavorare intorno alle quattro e mezza del pomeriggio, porto le mie chiappe a casa e mi metto nei panni del personal trainer di me stesso. Dopo una mezzoretta passata a tormentare via whatsapp i soci di sempre per mettere in piedi una partita di calcetto al parco Goisis, “ma adesso? Ma che minchia di idee ti vengono con sta caldazza? Ma sei ubriaco?”, scelgo che la mia perdita di peso sarà legata all’arte della bicicletta, la Bianchi verdina di mio figlio Vinicio, una bici scassata come poche altre, tristissima, parcheggiata da mesi nel nostro cortile.
Mi metto sulla bilancia che mi dice che peso 85 chili. Faccio ancora di più, metro in mano, cerco di capire quanto sono alto, se in questo periodo mi sono abbassato e, con un filo di sollievo, scopro di essere uguale a prima del lockdown, 173 centimetri ero, 173 centimetri sono. Quindi decido che è venuto il momento di partire per il mio giro tra le montagne bergamasche. Ci sono quaranta gradi all’ombra, ne approfitto, per sudare come certe bisce dell’alto Lario mi vesto manco fosse il giorno di Natale. Tutona da sci sulle gambe, sopra otto magliette di calcio di quelle in acrilico infiammabile, due sponsorizzate dall’amico Gigi Foppa, Clarks di pelle ai piedi, larghine, che mi permettono di indossare, va detto con un certo stile, un paio di calzettoni tirolesi, che ignoro come abbiano fatto a finire nel mio primo cassetto.
Esco di casa abbastanza soddisfatto, anche perché appena fuori sento immediatamente mille goccioline di sudore sulla fronte. Penso, ed è anche questa la notizia, “mi massacro un paio d’ore e domani sarò in perfetta forma, magro magro come un insetto stecco”. Cerco di evitare di farmi vedere da qualcuno che mi conosce, e, puntuale come un orologio svizzero, sento la voce del mio vicino, Paolo. “Matteo, ma come ti sei conciato?”, non rispondo, mantenendo il massimo riserbo che serve in questi casi, “Matteo, non è che ti avanza una scatoletta di tonno?”. Rifaccio le scale, riapro la porta e torno nel mio appartamento, recupero un paio di scatole Rio Mare e gliele do. “Grazie, sei sempre gentilissimo” e attacca a parlare dell’Atalanta, “dai, il Gasp ha sbagliato i cambi… E poi Neymar è imprendibile. Ma adesso? Chi prendono?”. Resto muto per fargli capire che non ho voglia di stare lì a discutere di calcio giocato o di calcio mercato perché ho altri piani. Mi legge nel pensiero, “mi presti la bicicletta?”, “no, Paolo, serve a me…”, “davvero? Ma allora perché sei vestito così? Pensavo stessi andando a sciare…”. Ah bé.
Superato lo scoglio Paolo, anche un bravo tipo, che prima di mollarmi mi sistema il sellino e il manubrio, parto. L’obiettivo è di quelli belli grossi, Bergamo-Brivio, 26 chilometri a dieci anni di distanza dall’ultima volta che ho guidato una bicicletta.
Faccio via Santa Caterina alla grande, sembro Nibali, sostanzialmente un razzo. Un minuto e sono in centro. Lì comincio a sentire un dolore fortissimo ai muscoli della gamba destra e una serie di fitte al piede sinistro. Sono a un passo dal mollare, ma tengo duro, ovviamente ridimensionando la lunghezza del mio primo allenamento. Così torno indietro e mi faccio la ciclabile di via Baioni, che è uno spettacolo. Sudo e sono felice, pedalo facendo anche due salite, arrivo in Città Alta, fino in Piazza Vecchia. Ed è lì che mi accorgo di avere esagerato. Non sono un bel vedere, sembro Gesù sul Golgota, con quella faccia, ma ciccione. Ho malissimo alla schiena, le mie 43 primavere si fanno sentire.
La discesa verso via Santa Caterina è una sorta di liberazione. Prendo il portone di casa, mi svesto pieno zeppo di speranza, come solo un secolo fa prima di fare la cresima, nel sogno, poi infranto, che i miei mi regalassero il Monclear che gli avevo chiesto e che loro mi avevano promesso (invece optarono per una bruttissima giacca Ciesse Piumini).
Mi metto sulla bilancia: 86 chili. Tutto quello sbattimento e il mio peso è aumentato. E mi dico: “Ma porco cazzo, ma così non vale, ma andate tutti a quel paese, ma pure tu, maledetta bicicletta Bianchi”. E per consolarmi mi apro una birrozza, mezzo litro di 8.6 e, finalmente, mi sento più leggero, un fuscello.
Matteo Bonfanti