Dice: “A volte mi capita di aspettare il tuo articolo per andare a letto” e non è solo Luca, che non è gay e manco lo è stato mai, e poi chissene se anche lo fosse, ma è lui e pure altri sette. E in fondo sono io, solo io, che non è che mi è successo spesso, comunque mai così: un anno, credo fosse il 2006, i complimenti di un parente lontano che si era perso che io da sempre faccio questo mestiere, una decina di volte l’applauso della mia donna dopo aver fatto l’amore ed essere venuta, quest’estate il momento di maggiore soddisfazione, a metà luglio col barista delle piscine Italcementi, “sei Matteo… Ho letto il tuo ultimo pezzo, era bellissimo, l’ho mandato a un mio amico che sta in Germania perché mi ha fatto tanto pensare, ti offro il gelato, a te e ai tuoi ragazzi”, io fiero, ma poi il giorno dopo eravamo ancora lì a fare il bagno, e io la notte prima avevo scritto altre cose che per me erano importanti, e i miei figli, che sono svegli e che avevano capito l’andazzo che lui lì era un mio fan, l’unico del momento, hanno esagerato. Hanno preso tre toast, due panini, quattro dolcetti, sei coni, persino un caffè zero della Algida, mancava che ordinassero pure un paio di grappini per mandare giù tutta quella roba, “sono trentaquattro euro”, “ok, neanche tanto”, “grazie”, “prego”, “arrivederci”.
Capitolo chiuso. Resta che i miei otto personali lettori mi danno ansia. A volte sono in forma e ho parole che arrivano d’un fiato, la luna a fettine, la stella polare, l’aria elettrica del temporale, altre, alla prosa, preferisco un filmaccio sulla droga su Netflix, catastrofico, di quelli che tutti in America, dai sei agli ottant’anni, si fanno di metanfetamina riducendosi a stracci umani che vivono nelle fogne facendo le peggio cose, e io, che qualche vizio ce l’ho, tre sigarette una in fila all’altra appena mi alzo, l’aperitivo al Blu Puro alle sei del pomeriggio, la cannetta delle undici di sera, mi sento sollevato. Mi dico: “Dai, sono un gran bravo tipo, di me non ci si può lamentare”.
Metanfetamina a parte, così come le frasi in circolo che oggi non sono tra le mie cento migliori, c’è questo posto che si chiama Bergamo e che, oltre alla meravigliosa Atalanta, ha un sacco di gente eccezionale, che rende semplicissimo il mio lavoro che è quello di vivere per raccontarla. Oggi tornavo a casa, che dovevo cucinare uno straccio di primo ai miei figli, gli Spetzel con panna e grana che sono una veloce certezza e che avevo già in frigo, ed ero in anticipo, un male perché li ho adolescentini e sognano momenti a casa senza cazzi che sono lo stress che gli diamo noi genitori. Così cercavo il ritardo, in macchina andavo piano piano, guardandomi i dintorni di Monterosso, che per me sono fighissimi e mi mettono di buono umore. Dietro di me un vecchio e una vecchia su una macchina talmente antica che io non so minimamente dire né la marca né il modello, ipotizzo Skoda. Mi suonano, io faccio il cenno “scusate”, mi risuonano, io accosto, l’anziano mi sorpassa facendomi il dito medio con una nonchalance che manco George Clooney. Rido, ringraziando di essere al mondo, sognando di avere la stessa grinta tra quarant’anni, quando avrò la sua età.
Matteo Bonfanti