Penso che Bergamo stia vivendo qualcosa di opposto al resto d’Italia. Nel Paese si è vissuta un’emergenza, qui da noi si è invece verificata una vera e propria strage, che ci ha segnato, cambiandoci nel profondo. Grazie al mio lavoro ho la fortuna di sentire le voci di tante persone, ragazze e ragazzi che appaiono trasformati da questa brutta cosa. Parlo di molti giovani del pallone, quelli che giocano tra i dilettanti, delle loro fidanzate che li seguono dalle tribune e che hanno iniziato a leggerci, o di quelli che vanno ogni domenica a vedere l’Atalanta. Alcuni li ho anche intervistati, diversi mi hanno scritto, chi in privato, chi sotto i miei articoli, quello che li accomuna è il bisogno di dare una risposta alla difficilissima domanda di questi tre mesi: perché è accaduto qui da noi?
Come ogni persona, anch’io sento nel cuore che l’epidemia nella nostra città e nelle nostre valli non ha alcuna valenza positiva. Che sia quello sanitario, lavorativo, politico o economico, qualsiasi nostro ambito si è dimostrato estremamente fragile, costruito su mille castelli di carta, impreparati a una tempesta di tale portata. Credo anche che avere sotto gli occhi il fallimento di un intero sistema, abbia portato tutti a vedere le cose in un altro modo, senza più quella fiducia cieca che gran parte di noi riponeva nella catena di comando della nostra provincia.
Ora io abito a Bergamo ormai da vent’anni e penso che nella nostra provincia ci siano tre popolazioni molto diverse, quella della città e del suo hinterland, più critica perché più complessa, quella della Bassa, che respira l’aria di Milano, e quella delle valli.
Penso alla terza. Ovviamente senza generalizzare, ma le molte persone seriane e brembane che conosco, ha vissuto prima del coronavirus una vita con pochissimi dubbi e tantissime certezze. Intanto il benessere, abbondante, col lavoro, tanto, per tutti, pagato bene, tra mille straordinari, perché parliamo di una delle zone più produttive d’Europa. Poi anche l’idea, bellissima, della famiglia, la nonna al primo piano, i genitori al secondo, i figli, con i rispettivi partner, al terzo e al quarto, uniti sempre e per sempre. Quindi la Lega, che, diversamente dai partiti di governo, nelle valli è sempre stata straordinariamente radicata sul territorio, con amministratori vicini ai cittadini, facendo crescere tanti ragazzi nell’idea che il Carroccio fosse il solo partito possibile perché l’unico con dei rappresentanti che si conoscono di persona. In ultimo, non certo per importanza, i servizi, che funzionavano bene, principalmente quelli legati alla salute.
Questo schema vincente è stato letteralmente sgretolato dal coronavirus. Il lavoro è mancato, con tante aziende che non sono state capaci di tutelare i propri dipendenti nel momento più difficile della loro vita. Moltissimi stanno ancora aspettando la cassa integrazione promessa, addirittura nell’incertezza su quale sia l’ente nazionale che deve erogarla. L’idea di una famiglia unita e vicina ha fatto ammalare migliaia di persone, ignare di cosa fosse questa malattia, anche perché dall’alto ancora non ce l’avevano spiegato con chiarezza, ricordiamo tutti le frasi di politici di ogni colore che sostenevano si trattasse “di un’influenza un attimino più pesante”. La Lega, parlo soprattutto di Fontana, l’esponente ai vertici dell’amministrazione regionale, è sembrato uguale a tutti gli altri, legato mani e piedi a consolidati gruppi di potere, che non gli hanno permesso di fare scelte forti quando poteva prenderle. La sanità è parsa totalmente impreparata ad affrontare l’emergenza, rimanendone completamente travolta dopo anni e anni di tagli.
A questo vanno aggiunti altri tre elementi. Il primo, il più drammatico, è che le persone delle nostre valli hanno sentito la morte sempre accanto, con la drammaticità che comporta vedere morire parenti e amici, sentendo sempre in sottofondo l’inquietante suono delle sirene. Il secondo è che per la prima volta nelle loro vite seriani e brembani si sono fermati. Chiusi in casa per legge, gente dai mille impegni quotidiani ha iniziato a leggere, tra l’altro giornalisti non legati all’informazione tradizionale, più liberi, che sono diventati il punto di riferimento in questa crisi perché giovani, semplici e molto social. Così in queste settimane mi è successo di leggere i pensieri profondissimi di ragazze e ragazzi, che prima erano molto leggeri, e non voglio assolutamente dare un’accezione negativa all’aggettivo.
Adesso io non so a cosa porterà tutto questo, sicuramente a un cambiamento di mentalità già in corso, senza più sicurezze radicate negli anni, ma legata a un bisogno di fermarsi a informarsi, per poi riflettere su chi siano i rappresentanti migliori per competenze e impegno, non più per il partito che rappresentano.
Occorre quindi che anche il mondo della politica, a destra come a sinistra, trovi la forza di cambiare al proprio interno, scegliendo candidati dal grandissimo valore, soprattutto morale, per fare uscire l’intera Bergamasca dal pantano in cui si trova dopo questo tsunami che tra l’altro non è ancora del tutto finito.
Matteo Bonfanti