“Sarei potuto finire all’Atletico Madrid, nel 2013, ricongiungendomi col Cholo Simeone che avevo già avuto al San Lorenzo. Invece andai al Metalist Kharkiv, poi l’Atalanta: sognavo la big, poi ho pensato che con la società e il mister avrei potuto far diventare una grande la mia squadra. Ma l’amore eterno non l’ho promesso mai: solo a mia moglie Linda…”
. Un Papu Gomez in vena di dichiarazioni senza peli sulla lingua né ipocrisie quello apparso in viceochat con il socio di Perform Emanuele Arioli: “Non l’ho fatto nemmeno col Catania che mi ha lanciato in Italia, non lo faccio adesso che ho più di 200 presenze con la squadra di Bergamo. Non mi va di fare il falso”.
“Non ho mai baciato nessuna maglia, nemmeno quella dell’Arsenal Sarandì con cui vinse la Copa Sudamericana nel 2007 segnando una doppietta all’America allo Stadio Azteca – ha rimarcato il capitano nerazzurro -. Lo consiglio sempre ai giovani: il calcio cambia, magari domani litighi con presidente o allenatore e te ne devi andare”. Il numero 10 s’è comunque detto lietissimo di rappresentare la Bergamo del pallone: “Voglio tornare in campo come stanno facendo in Germania per regalare gioia ai tifosi, anche se costretti a casa. In Champions League dopo le sconfitte nelle 3 partite di andata del girone abbiamo acquisito una consapevolezza incredibile, con Gasperini la fase di finalizzazione è agevolata dal fatto che chiunque in squadra, da Gosens a Toloi fino a Djimsiti e ai centrocampisti, sa crossare e fare l’assist. Altrimenti io non avrei segnato 16 gol nella prima stagione del nuovo corso, o Zapata o Ilicic sarebbero in grado di far gol a grappoli e giocare come giocano”.
Qualche cenno sul prima e sul dopo, col Gasp comunque da spartiacque. “Nel 2007 mi alternavo con Leonardo Biagini accanto a Calderon in Copa Sudamericana, nell’Arsenal di Sarandì: nella semifinale col River Plate rimasi fuori, nella finale all’Azteca contro l’America. Che carriera avrei avuto se Biagini non si fosse strappato e io non avessi fatto gol? – si chiede il Papu -. Nell’anno e mezzo al San Lorenzo, una big, non riuscii invece a tirar fuori il meglio di me: a vent’anni o meno si fanno cazzate, non ero maturo i primi tempi col Cholo. Il Catania fu il trampolino di lancio. Il momento dopo l’Ucraina al Metalist fu abbastanza buio: arrivai all’Atalanta all’ultimo giorno di mercato dopo essermi allenato tre mesi da solo, fisicamente non ero a posto. Poi mandarono via Colantuono, con Reja ebbi più continuità grazie al 4-3-3 ma restammo 14 partite senza vincere. Adesso regaliamo felicità a una città che s’è dovuta fermare per il virus ma ha il diritto di tornare a gioire”.