Quante volte te lo sei chiesto, o magari te l’hanno chiesto: avevi preparato tutto per bene, il fisico a posto, le tattiche di gara, gli avversari li conosci a memoria, i compagni di squadra; insomma, tutto lasciava pensare che il risultato sarebbe arrivato.
E’ iniziata anche bene, poi, a un certo punto, buio pesto!
La concentrazione se n’è andata, hai fatto un fallo in più e ti sei pure arrabbiato al fischio dell’arbitro.
Cosa poteva mai fare? Rosso!
Torni nello spogliatoio in silenzio, la testa bassa.
La gara è finita male e loro, i tuoi compagni, magari non te lo dicono in faccia ma sai bene cosa pensano…
Ecco, questa è una delle tante situazioni che si possono presentare a uno sportivo, poco importa se gareggia da solo o in una squadra.
Basta davvero poco per buttare via lo sforzo e l’impegno di giorni, a volte di mesi o anni (pensa alle Olimpiadi!). Perché?
Perché la testa non ha retto a dovere.
Succede, ma si può lavorare per ridurre drasticamente la probabilità o la frequenza di questi “cali di tensione” (per usare un eufemismo…).
Nel mio mestiere si dice che la Performance è uguale al Potenziale meno le Interferenze.
Di solito lavoriamo sul fisico e sulla tecnica: corsa, forza, schemi, tattica. E’ un tentativo infinito di ripetere sempre meglio il cosa fare e il come farlo.
E’ giusto: il nostro cervello ama le ripetizioni perché servono a risparmiare energia e a imparare bene schemi, movimenti, azioni!
Le abitudini…
Qualche volta però, quelle benedette abitudini non ci aiutano perché non ci permettono di essere i veri padroni della situazione.
Già, perché ogni atleta fa sempre 2 gare: una in campo e una con se stesso. Si chiama INNER GAME perché la gara è col suo stato interiore, ed è l’avversario più forte con cui dovrà mai confrontarsi.
Se le abitudini acquisite in allenamento ti permettono di andare in gara, non sempre però ti aiutano ad affrontare l’inner game. Devono essere affiancate da altre abitudini, quelle della mente: una mente preparata è in grado di affrontare l’imprevisto, il cambiamento e di trovare quelle risorse extra che servono “quando il gioco si fa duro”.
E questo è esattamente quello che fa un Mental Coach: supportare e guidare una persona o un team nel raggiungimento di un risultato attraverso specifici strumenti, un’accurata programmazione e analisi del rischio/beneficio in base al tempo disponibile.
Perché può farlo? Perché ha appreso o sviluppato un metodo e ne ha acquisito l’esperienza – innanzitutto su se stesso – ma, soprattutto, ha per obiettivo quello di condividere metodo ed esperienza con altri quando affrontano un cammino analogo.
Qui sta la grande soddisfazione: vedere obiettivi raggiunti, traguardi tagliati, risultati acquisiti grazie ad un cammino fatto insieme.
Se vi farà piacere seguirmi qui su Bergamo&Sport, faremo un percorso per conoscere meglio i molti aspetti di questa affascinante professione e, perché no, provare insieme a vederne l’efficacia.
Massimiliano Bravin
L’AUTORE – Sono nato a Milano nel 1966, vivo a Bergamo dal 1996.
Sono sposato e padre di due figli ormai adolescenti.
Ho giocato a Basket per 15 anni a livello agonistico; passione rimasta anche oggi, unita alla corsa (ho fatto un po’ di mezze maratone e sto preparando la mia prima maratona).
Dopo 25 anni di esperienza in varie aziende italiane ed europee sia nella produzione che nei servizi ho ottenuto la certificazione come Mental Coach Practitioner presso la Mental Coaching Academy di Dario Silvestri.
Collaboro come Executive Coach con Skills-Empowerment/Vikyanna in ambito business e sportivo.
Ho creato il metodo Mindful Coaching, basato sull’interazione tra esperienza, metodologie e scienza per offrire il miglior supporto a chiunque intenda impegnarsi a fondo per ottenere i risultati che desidera e raggiungere gli obiettivi a cui ambisce.
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