di Evro Carosi
Questa volta la paura dura poco. Dopo solo dodici minuti, grazie a un brutto gol di Jonathan e a uno altrettanto brutto di Palacio, l’Inter conduce già 2 a 0. E’ una bella serata di ottobre e fa ancora caldo. I tifosi veronesi saranno almeno diecimila; vengono dalla città di Romeo e Giulietta…
Loro, che conservano ancora gelosamente il famoso balconcino, conosceranno sicuramente meglio di me le vicende dei Montecchi e dei Capuleti. Io ricordo solo che i due giovani innamorati arrivarono a togliersi la vita, e allora, pur convinto che l’amore non possa essere spiegato, casco in uno di quei ragionamenti senza fondo che fanno impazzire gli scienziati: «Ma perché l’amore può condurre l’uomo a tanta disperazione?». Quando la mia analisi, dopo aver sbattuto contro diversi muri, era già finita su vie secondarie, Martinho infila la nostra porta e riapre la partita. Siamo al 32′ del primo tempo, devo restare più concentrato. La gara prosegue senza grandi emozioni. L’Inter si porta sul 4-1 con altri due brutti gol e poi il Verona fa 4-2. I gialloblu avrebbero anche meritato il 4-3 quando Toni, verso la fine, si infila tra due dei nostri, ma l’arbitro ritiene che il gesto tecnico dell’attaccante sia stato goffo e sgraziato, e annulla giustamente un gol regolare.
Per la tecnica individuale di molti dei suoi giocatori, a me questa Inter piace, ma resta qualche problema che, Thohir permettendo, forse risolveremo con il mercato di gennaio. Addossare tutte le responsabilità a Ranocchia e Jesus è facile, ma non è onesto. Mazzarri non solo schiera una difesa a tre, ma pretende anche che si giochi molto sulle fasce. Nagatomo e Jonathan, che in panchina non hanno sostituti possibili, accontentano il mister, ma, con il passare dei minuti, perdono inevitabilmente in lucidità mandando in confusione da superlavoro gli incolpevoli difensori. Nelle prime partite Campagnaro ci aveva messo più di una pezza, ma Rolando, suo sostituto, non sa fare lo stesso. La situazione si aggrava poi se Palacio, come sabato sera, esce troppo presto dal campo: nessuno arpiona più i missili terra-aria lanciati da dietro e l’avversario può facilmente ripartire.
Però è ridicolo pagare il biglietto, per poi mettersi a riflettere sull’amore nel bel mezzo della partita… Ma del resto lo ha fatto anche Vecchioni che qui a San Siro ci veniva in camporella; la sua Inter con la famosa canzone non centra proprio nulla. Scendo le scale con cinque minuti di anticipo e, rimasto finalmente solo, cerco di concludere cosi la mia disperata analisi: l’amore è un sentimento libero. Possiamo imbrigliare tutte le nostre passioni, ma quando siamo innamorati vogliamo solo vivere il sogno. L’amore, va per i cazzi suoi, non si controlla. Si ama anche senza essere corrisposti proprio perché l’amore non rispetta né regole né consuetudini.
Non ce l’ho fatta… Neppure stavolta sono riuscito a spiegare l’amore, ma torno a casa rassicurato, con la certezza che, in questo mondo, la cosa più bella è irrazionale.
La prossima a San Siro sarà contro il Livorno, chi pensa che parlerò del cacciucco non si sbaglia. Mi riuscirà sicuramente più facile disquisire sulla cucina che non spiegare l’amore… E poi non voglio morire anche io, come Romeo: «così con un bacio».