SECONDA PUNTATA, DOMENICA 7 SETTEMBRE

“Caldo, maledetto, dannato caldo che te ne sei stato alla larga da noi per tre mesi: proprio oggi devi scoppiare?!”. Con qualche parola colorita in più, ma questa è la frase più ricorrente che ci siamo detti noi del Loreto domenica alle 15.25 mentre attendevamo di entrare in campo. I nostri avversari, i ragazzi dell’Excelsior, annuivano. E, non appena l’arbitro ha dato il fischio d’inizio e abbiamo cominciato a fare sul serio, le gambe e la mente si sono paralizzate, un po’ per tutti, a me in particolare. Sembrava di essere al Rose Bowl di Pasadena, all’una di pomeriggio di quella finale dei Mondiali di Usa 1994, quando i talenti  di Italia e Brasile (quelli veri degli anni ’90) giocarono “a uno all’ora” attanagliati dal sole cocente che batteva sulla testa. Baggio spento, Baresi coi crampi, Romario meno pungente del solito e i rigori a fare la differenza. Con le dovute proporzioni, ma Loreto-Excelsior sembrava proprio una partita come quella. L’ho capito subito dopo i primi 5 palloni sbagliati che avrei giocato una partita pessima: in quei momenti i compagni sono fondamentali e anche domenica lo sono stati. Se iniziano a capire che non vai e urlano per spronarti ti mettono definitivamente ko, se invece applaudono, incitano nel modo corretto ma soprattutto fanno la famigerata “corsa in più” per te ti senti in dovere di andare oltre a quelle che in quel momento sono le tue capacità. “Momo” (Samuel Sackey) ha fatto proprio così domenica: mi ha chiesto scusa per due passaggi suoi nei miei confronti quando invece erano perfetti ed ero io rimasto fermo sul posto, poi, poco dopo, è andato a prendersi una palla a centrocampo e l’ha messa nel “7” di mancino per il gol del vantaggio. Vedere entrare la palla in rete ed andare a festeggiare i compagni è una delle cose più emozionanti non solo del calcio ma dell’intera settimana. E quello che ci si dice mentre si è uno addosso all’altro è tutto da ridere. Qualcuno, non so bene chi a dire il vero, ha urlato: “Oh Momo, non sai calciare di destro e segni di sinistro?!” e via a ridere tornando a centrocampo in vantaggio. La pressione degli avversari è asfissiante, quasi peggio della calura che scende dal cielo e risale dal sintetico, ma Boy ci tiene in vantaggio fino al 45′. Negli spogliatoi c’è chi si butta sotto la doccia gelata, chi beve a più non posso, chi si asciuga e basta ma tutti (tutti!) hanno la bocca spalancata, gli occhi sgranati, e il colore pallido. Il mister ci tranquillizza, parla poco e piano per non consumare la poca aria che circola nello spogliatoio, cura l’aspetto umano piuttosto che quello tattico e questo ci spinge a rientrare in campo più vogliosi. E’ un assedio quello che riceviamo e i nervi iniziano ad arrivare a fior di pelle. Ingaggio un duello verbale col mio marcatore e non ce le mandiamo certo a dire con qualche calcetto e qualche “vigliaccata” di campo che se ci ripenso di notte sorrido da quanta stupidità coglie i giocatori sul rettangolo verde. Boccheggio ma non voglio uscire perché gli spazi per chiuderla ci sono ma alla mezzora l’Excelsior pareggia e penso: “La perdiamo”. Anche in questo caso però la squadra corre più forte e rialzo la testa andando ben oltre le possibilità fisiche. Non ci vedo più però quando al minuto 89 l’arbitro assegna 5′ di recupero e poi ancora 2 per ammonizioni e sostituzioni e in questi 7 (sette!) minuti di recupero al termine di una partita tesa, durata già 95′, giocata con 40 gradi, che non sta scontentando nessuno ne combina di tutti i colori rischiando di rovinare tutto. Mi avvicino durante una pausa in cui un avversario è costretto ad uscire per un infortunio muscolare (ecco, appunto, dopo 96’…) per chiedergli di usare un po’ di buonsenso ma mi risponde con un ghigno di scherno: “Questo è il regolamento, non posso fare diversamente”. Lo guardo strano, non ho più la forza di rispondergli, gli sussurro solo un “perché non stai a casa la domenica?” e me ne torno a difendere il mio pareggio (poi definitivo) al 97′ con 40 gradi pensando che a noi giocatori farebbe tanto piacere se nel maledetto regolamento venisse introdotta la regola del “buonsenso” che le giacchette nere troppo spesso dimenticano. Federico Biffignandi