Oggi, ore dieci e trentacinque circa, abbastanza distrutto perché il mattino non è una cosa mia. Arrivo dal benzinaio, quello bello grosso, forse dell’Ip, appena prima della strada per andare alle valli, per fare il pieno di metano a una Pandona bisognosa e quindi miagolosa. C’è il titolare, mai scambiato una parola in quindici anni tondi tondi di rifornimenti, ma comunque uno di quelli giusti, un uomo toro, pelato e muscoloso, cinquantino, dal sorriso contagioso, probabilmente di sinistra, ma più in là del Pd, un duro e puro, con la maglietta del Che nel cassetto e in macchina la compilation di Guccini. Mi parla per la prima volta: “E bé, che altro dire? Hai già detto tutto tu…”. E io, nel panico, senza aver proferito parola, col punto di domanda in testa, riavvolgendo i miei movimenti fino a lì, “dunque, ho messo la freccia e ho parcheggiato, ho fatto il dito medio allo stronzo che mi ha suonato, ma non l’ho insultato, cosa sarà mai? Capita… Che cazzo ho combinato di tanto grave questa volta? Chiedo scusa preventivamente? Attendo l’evolversi facendo finta di niente, chiudendomi in un silenzio carico di significato? Accendo l’auto anche se è ancora attaccata alla pompa e scappo in redazione?”. Va detto che il benzinaro non sembra arrabbiato, ma va anche detto che io sono abbastanza in paranoia. Credo si debba a due motivi, uno è quello di sempre, trent’anni fa ho fatto la patente alla cazzo, da un amico, non so guidare e creo parecchi grattacapi alla circolazione e a chi ne fa parte non conoscendo del tutto il significato dei cartelli, l’altro presente, non sono in un bel periodo, mi pare di comportarmi anche benino, onesto, ma c’è una bella fetta di gente, diciamo un buon cinquanta per cento, che mi vede e s’incazza, rivangandomi minchiate che ho fatto un secolo fa. “Bravo, Matteo, Matteo, Matteo ti chiami?”, il distributore, così, elogiandomi a sorpresa, “sì, ho questa fortuna, un bel nome, grazie caro”, io, guardingo, col caro buttato lì per ingraziarmelo. Lui, di nuovo: “Sono stato a Marsiglia, scrivi bene e hai ragione, i francesi sono delle merde. Me lo sono detto, l’articolo di quel mio cliente è giusto e sacrosanto. Prossima volta che fa metano, gli faccio i complimenti”. Pericolo scampato e allora andiamo, via col tango e col mambo. Apriti cielo, non vuole menarmi, ma chiacchierare del mio pezzo su Nizza. Si va, fino al paradiso a colpi di insulti ai transalpini, “sono venali”, “sì, sono tirchi”, “mangiano di merda”, “sì, si credono tutti loro”, “la nouvelle cuisine è spazzatura”, “sì, una pizza da noi è un’altra cosa”. Non fossi stato rincoglionito dalla notte prima coi miei ragazzi, Vini e Zen, sarei sceso dalla maghina e avrei tentato di baciarlo in bocca gridandogli “viva l’Italia e viva Materazzi”. Ma ero tuonato, sicché ho desistito, l’ho pagato e l’ho ringraziato, felice per l’iniezione di fiducia. Poi sono ripartito ed ho pensato a questa cosa, la popolarità, che è quando uno che non ti conosce, si comporta come se ti conoscesse. E sono arrivato alla conclusione che è figa perché mette un po’ di strizza, ma anche parecchia soddisfazione. Sicché prima, andando a comperare le sigarette dal tabaccaro simpatico vicino alla redazione, mi sono fatto un selfie. Si sa mai, che, dopo questo articoletto, mi succeda di nuovo regalandomi mille e passa emozioni.
Matteo Bonfanti