C’è 2 giugno e 2 giugno. La Festa della Repubblica è un rito civile che unisce, o dovrebbe unire, il popolo italiano. Il 2 giugno dell’Atalanta è sempre e soltanto il 1963, la Coppa Italia vinta demolendo il Torino di Giacinto Ellena. La tripletta di Angelo Domenghini da Lallio, che poi avrebbe partecipato all’epopea della Grande Inter herreriana e della Nazionale di Ferruccio Valcareggi, un che dalla Dea c’era passato, campione d’Europa nel ’68 e vicecampione del mondo nel ’70. L’Atalanta dell’orgoglio sangue & terra: al dunque, da Pierluigi Pizzaballa in giù, cinque della provincia di Bergamo in formazione su undici.
Di là, i volti amici di lì non a molto di Pantera Danova e Gerry Hitchens. Quel 3-1 fu la base di tutto, anche dei sogni futuri, perfino di quelli che i tifosi bergamaschi stanno vivendo adesso. Aprì le porte dell’Europa a una provinciale che da un quadriennio, sotto la guida di Gian Piero Gasperini, ormai è una big aggiunta. Era un calcio ancora romantico, quasi goliardico, nutrito dello spirito dilettantistico di chi era cresciuto a pane e pallone all’oratorio negli sforzi della ricostruzione del secondo dopoguerra spesso a pancia vuota.
Un colpo di testa sulla punizione tesissima di Flemming Nielsen, una zampata da finisseur in combinazione con Giorgio Veneri e un Luciano Magistrelli in vena di sponde, un’azione in solitaria di prepotenza e fame sull’apertura di Mario Mereghetti, il secondo mancino su due scaraventato sotto la traversa dopo essersi bevuto mezza difesa nemica. Tre flash irresistibili con un solo primattore, da consegnare alla memoria collettiva nello scrigno dell’unico trofeo in bacheca. Il Domingo, futuro compagno di Gigi Riva nell’incredibile scudetto del Cagliari, incarna l’anima atalantina come pochi, forse nessuno.
Uno venuto su dal niente e dalla povertà, assurto alle vette della professione più bella e spensierata del mondo per passione. Quanta strada, dalla coccarda mentre l’amatissimo Papa Giovanni XXIII, il bergamasco Angelo Roncalli, il Papa Buono per tutti e il santo più amato da queste parti, stava andando a raccogliere la ricompensa dei giusti tra le lacrime della sua gente che aveva solo quell’attrezzo di cuoio bitorzoluto per esultare, alla Champions League di oggi. Ma da Paolo Tabanelli al Gasp l’Atalanta, alla fin fine, è sempre la stessa. L’espressione della volontà di un campanile di svettare più alto di tutti. Quale amarcord più adatto, per onorare la battaglia contro la pandemia alle soglie della vittoria? Quale modo migliore per commemorare i caduti del Coronavirus, tra cui Zaccaria Cometti, allora “sceso” a secondo portiere?
Milano, 2/6/1963
Atalanta: Pizzaballa; Pesenti, Nodari; Veneri, Gardoni, Colombo; Domenghini, Nielsen, Calvanese, Mereghetti, Magistrelli. Allenatore: Tabanelli.
Torino: Vieri; Poletti, Buzzacchera; Bearzot, Lancioni, Rosato; Danova, Ferrini, Hitchens, Peirò, Crippa. Allenatore: Ellena.
Arbitro: Sbardella di Roma.
Marcatori: p. t. 4′ Domenghini; s. t. 4′ e 37′ Domenghini, 39′ Ferrini.
Simone Fornoni