Intanto le nuove regole dell’ormai famoso protocollo, tra tutte la sanificazione degli spogliatoi per ogni squadra che ci entra, con costi a dir poco esorbitanti, e la registrazione di chiunque arrivi al campo, qualcosa di difficile fattibilità per i nostri club minori, che hanno spesso un organigramma societario ridotto all’osso. Poi il nodo delle responsabilità, una sorta di spada di Damocle per i vertici delle nostre società. Quindi l’incertezza totale su cosa accadrebbe ai campionati nel caso ci fosse la positività anche solo di un giocatore. E tutto con le pesantissime sanzioni previste per chi non rispetta i dictat della Figc.
Al netto della solita assurda cattiveria nei confronti della stampa, foto di squadra negate (ma non si poteva permetterle con la regola dei giocatori distanziati? Per noi sono fondamentali…), resta che i campionati, che iniziano tra un mese, lo fanno all’insegna dei punti di domanda. Come sempre i club del nostro calcio provinciale hanno fatto la loro parte, sudando le proverbiali sette camicie per continuare a far giocare i nostri ragazzi, mettendoci tutto l’entusiasmo possibile e immaginabile nonostante la feroce crisi economica che stiamo vivendo. Ma il ministero della sanità? Ma il Comitato Tecnico Scientifico? Dove sono i nostri vertici?
Intanto dovrebbero darci una chiara risposta alla domanda da cento milioni di dollari, anzi da duecento miliardi di euro, che è quanto dato all’Italia dall’Europa per vincere la battaglia contro il coronavirus e ripartire finalmente in una nuova normalità. Che ci dicano, per una volta, a che punto siamo col Covid, con le nostre strutture ospedaliere e con la ricerca per arrivare a un vaccino. La percezione è che l’emergenza sia alle spalle, che siano stati fatti dei passi avanti, che i medici abbiamo sviluppato conoscenze e competenze per farci guarire. Eppure i contagi aumentano, l’altro ieri è morto Cristian Persico dopo cinque mesi passati a combattere contro il virus, le discoteche sono chiuse e c’è già chi parla di un altro imminente lock down nel prossimo autunno.
Parliamo di pallone, che, ovviamente, così come la scuola, si fermerebbe nel caso di un’Italia nuovamente blindata. Ma pure se restasse tutto così com’è ora, i dubbi che i campionati comincino per arrivare a una fine sono tantissimi. Più di tutto per via degli ipotetici positivi. Intanto come si scopre di avere un malato in squadra se i tamponi non sono obbligatori? Poniamo che se ne venga a conoscenza perché il calciatore ha la febbre alta e sta male. In quel caso bisogna isolare lui e chi l’ha frequentato, quindi l’intera squadra, per due settimane, che sono due partite. Non è chiaro dal famoso protocollo, ma conoscendo il senso di responsabilità dei nostri presidenti l’idea è che a quel punto tutti vadano testati per evitare che il club in questione diventi un piccolo e pericolosissimo focolaio. Per le società ricche nessun problema, test privato a 150 euro, risultato il giorno dopo, spesa che si aggira sui 4000 euro contando i venti in rosa e quelli dello staff, tantissimi soldi anche per chi ha la prima squadra in Serie D. Immaginate per le altre, per i tanti volontari del pallone a zero euro delle squadre dei nostri gironi di Terza, club che, con i pochi spiccioli che hanno in cassa, si affiderebbero alla Lombardia, con l’estrema lentezza della nostra sanità, che a tre miei amici ha fatto aspettare la bellezza di quaranta giorni per sapere il loro esito. Fosse così, la rosa starebbe ferma due mesi. Un casino. E pensate se ce ne fosse uno per ogni formazione, qualcosa di possibilissimo, visto quanto è successo in primavera nella nostra provincia, la stagione si chiuderebbe già alle prime giornate.
Che si fa in uno scenario del genere? Quello che stiamo predicando da mesi, ossia la regola imparata dai nostri nonni: ci si affida al buon senso. Ma si può farlo solo se dall’alto ci rispondono a tre sacrosante domande: quanto è pericoloso il Covid per dei ragazzi sani e in forma? Quanto lo è per i bambini dei settori giovanili? Quanto manca alla distribuzione di un vaccino di massa che ci metta finalmente al riparo da questa terribile malattia?
Siamo in Italia, il Paese in cui ogni politico racconta la sua verità, opposta a quella del suo vicino, spesso nella totale incompetenza, a volte per il proprio tornaconto personale, ma qui ci sono in gioco due cose fondamentali, la vita delle persone e la sopravvivenza del nostro pallone, una disciplina che spesso regala una bella fetta della felicità di cui una larga parte di italiani ha bisogno per vivere.
Quindi, con tranquillità e con coraggio, servono delle risposte. Le dobbiamo avere per ripartire sul campo nella piena tranquillità, senza la paura di essere travolti da una nuova pandemia con l’immenso dolore che tutti conosciamo perché l’abbiamo provato solo pochi mesi fa.
Matteo Bonfanti