di Matteo Bonfanti

Io ho due angeli custodi, uno si chiama Zeno, l’altro Vinicio. E c’è che sono piccoli, hanno sei e otto anni, ma sono già grandi. Ieri sera li ho portati con me. Sono andato a giocare a pallone con gli amici e loro due si sono messi sulla panchina a bordo del campo, in silenzio, a guardare una partita tra adulti litigiosi che dicono un sacco di parolacce e si danno pure qualche calcione sugli stinchi. Alla prima azione ho fatto gol e i miei due bambini hanno sorriso divertiti. Allora gli sono andato vicino e mi hanno detto: “Bravo papà, sei il migliore”. Poi, come spesso capita, per una buona mezzoretta non ho più toccato palla. Io e i due piccoli Bonfanti ci osservavamo, facendoci l’occhietto. Poi mi sono rimesso nel vivo della gara e ci siamo persi. Vinicio ha acceso la Nintendo, Zeno ha continuato a vedere la sfida, esultando con quella sua meravigliosa vocina ogni volta che segnavo. Finita quella strana gara, noi tre Bonfi ci siamo dati la mano, siamo arrivati alla macchina e siamo tornati a casa. E c’erano il freddo che avevano preso ai piedini e le loro meravigliose parole, per rassicurare il papà, ma soprattutto l’uomo che sono, che soffre di sensi di colpa persino le rare volte che non dovrebbe. Siamo stati abbracciati perché amo la consistenza dei loro corpi morbidi e mi chiedo se sarà così pure quando i miei due bimbi avranno trent’anni, una moglie, dei figli, un lavoro, svariati casini da risolvere ogni giorno.
Scrivo spesso di Zeno e Vinicio, qualche pezzo sul sito, parecchie lettere che potranno aprire nel 2035. Mi metto perché non faccio fotografie né tantomeno dei filmati. Però quei due sono omini di una bellezza straordinaria e voglio che lo sappiano quando gli capiterà, perché succede a tutti, di sentirsi brutti, sporchi, ubriachi e cattivi, come con la testa in fondo a un pozzo.
Arrivato qui qualcuno dirà: “Ma cosa sta facendo il direttore? Che ci frega dei fatti suoi? Perché non commenta il campionato falsato dal salvataggio del Parma?”. Perché, ultimamente, mi do costantemente ad articoli senza speranza che rispecchiano la pochezza del posto dove viviamo, quest’Italia che ha perso l’anima e il cuore, barattandoli con una manciata di euro, milioni di segreti e miliardi di fatture false. Eppure da genitore credo che siamo all’alba di un mondo nuovo, migliore. Un po’ per un discorso anagrafico: chi ha mandato in malora il nostro Paese sia economicamente che eticamente sta diventando vecchio e prima o poi ci lascerà. E’ vero, con un sacco di debiti, ma levarceli di torno ci farà tornare a respirare un’aria che già si avverte. Che è quella che sentono i miei figli, il frutto di una generazione, la mia, sconfitta dalla storia, obbligata al precariato per mantenere i privilegi di chi ha immaginato che dopo di lui non sarebbe passato più nessuno. Io non lo penso. E non lascerò macerie. E manco i miei amici. E neppure Zeno e Vinicio che ieri al campo di Orio avevano le gambine gelate. E non me l’hanno detto. Erano preoccupati per me che giocavo in maglietta.