All’epoca Albino Maffioletti era un quarantenne di successo, magro e muscoloso, bellissimo, ironico, affascinante e sulla panchina della squadra bergamasca più forte del momento, la Nuova Albano, che vinceva e dava spettacolo in Serie D. Io, invece, ero un ragazzotto alle prime armi, un giovane cronista scapestrato che per motivi a me e a tutti gli altri ignoti il direttore del Giornale di Bergamo, Paolo Provenzi, aveva messo a capo della redazione sportiva.
Nella saletta dello sport, la sola che c’era nel sotterraneo dell’ufficio di via San Bernardino, eravamo un gruppo di ragazzini e nelle nostre pagine combinavamo cazzate abbastanza in serie. Una domenica la più grossa, a fine articolo Luciano, un bravissimo collaboratore, convinto che io leggessi il suo pezzo prima di titolarlo, aveva messo in bocca al Maffio la seguente frase, che lui, ovviamente, non aveva mai pronunciato: “Comunque se vinciamo o perdiamo non me ne frega un cazzo di niente. L’importante è scopare”.
Chi ha conosciuto il Maffio sa benissimo che un uomo della sua eleganza mai si sarebbe permesso una dichiarazione del genere, qualcosa che, tra l’altro, non direbbe nessun allenatore della nostra provincia, frase invece stampata perché io non avevo letto fino in fondo l’articolo di Luciano. Sta di fatto che la dichiarazione faceva bella mostra di sé, in grassetto, nell’inserto sportivo del nostro giornale. Apriti cielo, con Mai dire gol che dopo poco aveva ripreso la cosa e il tecnico bergamasco finito dentro a un mezzo ciclone nazionale.
Così mi aveva chiamato: “Ma Matte, ma che diavolo avete combinato? Io quella cosa non l’ho detta. Cosa si può fare?”. E io: “Mister, perdonami. Sono dispiaciutissimo. Facciamo una smentita”. E lui, un gigante, un uomo dal sorriso contagioso, dall’ironia che hanno solo i grandi: “E cosa scrivete? Che Albino Maffioletti si dissocia? E che secondo lui non è vero che scopare sia più importante del risultato di una partita?”. E c’eravamo messi tutti e due a ridere a crepapelle.
Negli anni col Maffio, un allenatore straordinario, amatissimo dai suoi ragazzi e da ogni dirigente che l’ha conosciuto come allenatore, ci incontravamo di tanto in tanto a mangiare. Parlavamo di calciatori, di mercato e di presidenti, Albino era un’anima bella che aveva sempre una parola di stima per tutti. Poi, un attimo prima di prendere la strada di casa, mi prendeva in giro: “Ma Matte… Non scrivere che ho detto che gli attaccanti non sono importanti o che dei moduli non mi frega perché l’importante è scopare…”.
Albino Maffioletti era così, un uomo intelligente, dolce e simpatico, di grande talento, in grado sempre di ridere e di sdrammatizzare. Ci mancherà. A me moltissimo, vederlo mi migliorava la vita. Da oggi a Bergamo c’è una persona bella in meno. Ed è un peccato. Solo questo.
Matteo Bonfanti