Dopo la valanga di accuse scatenate dalle rivelazioni a posteriori pubblicate domenica dalla Gazzetta Sportiva, l’Atalanta sul caso del suo allenatore Gian Piero Gasperini non cade nella trappola del fango tesale dal Valencia e da il mondo mass & social media in tema di Coronavirus. Niente comunicati, nemmeno per rispondere alla società rivale, sonoramente battuta sul campo negli ottavi di finale tra il 19 febbraio a San Siro (4-1) e il 10 marzo al “Mestalla” (4-3). Soltanto un virgolettato scarno su L’Eco di Bergamo e Gazzetta dello Sport che riporta fonti del club sulla materia del contendere.
Innanzitutto, la precisazione, resa alla stampa locale e a quella specializzata, non quindi al mondo intero né come replica diretta a Los Murcielagos, dei “protocolli rispettati” in occasione della trasferta spagnola di Champions League. Quindi, riguardo al tecnico, che aveva riferito di non essere stato bene ma di non aver mai avuto la febbre perdendo soltanto il gusto il 15 marzo successivo, esclusi “sintomi, febbre e problemi respiratori prima della partenza e durante la permanenza a Valencia“. Dulcis in fundo, la negatività dei tamponi cui Gasperini è stato sottoposto in occasione della ripresa dell’attività di squadra a Zingonia.
Punti fermi, certo, ma senza perdere tempo a stilare papiri sul sito ufficiale. L’ammissione del Gasp che ha scatenato il putiferio è stata comunque letta da più parti come l’atteggiamento irresponsabile di chi sarebbe stato ben conscio di avere il Covid-19 ma di averlo tenuto nascosto. In realtà l’interessato ha specificato con chiarezza di aver accusato sintomi cinque giorni dopo il match incriminato per poi avere la conferma degli anticorpi del virus solo una dozzina di giorni or sono dal test sierologico. I tamponi, all’epoca, non venivano fatti agli asintomatici. Operazione fango miseramente fallita, si direbbe.