Più di Greta Thunberg, Cicciogamer, professione youtuber, l’idolo incontrastato della generazione dei miei figli, tre milioni di follower, uno che se io e i miei compagni del liceo avessimo avuto in classe, avremmo bullizzato all’infinito, rubandogli le merendine americane di cui è ghiotto, chiudendolo ore e ore nei bagni della scuola, lui, il suo computer, la sua tastiera che si illumina, la direttona che fa per spiegare ai fanciulli come vincere l’ultima battaglia reale di Fortnite. Non c’è l’ho col famoso gamer, al secolo Mirko Alessandrini, che poi è un ragazzo stradisponibile coi suoi fan e dal viso assai simpatico, tutt’altro. Se ne parlo è perché credo che lui e gli altri mostri sacri del Games Week di Milano, i vari Efesto, Rekins, Kekkobomba e Xiuder, abbiano lo stesso effetto dirompente che ha avuto su di me il primo video fatto su Mtv da uno sfatto, unto e bisunto Kurt Cobain.
A inizio anni Novanta, mentre la televisione, la scuola e, soprattutto, i nostri genitori ci ripetevano in continuazione il loro mantra, “mens sana in corpore sano”, aggiungendo di andare alla festa vestendoci bene, coi jeans di marca e le scarpe firmate che ci avevano regalato a Natale facendo i peggio sacrifici, il leader dei Nirvana conquistava le vette delle classifiche musicali facendoci cantare l’esatto opposto, il rifiuto dell’aspetto fisico, della forma e della moda esaltati nei favolosi Eighties. Ma le sue parole andavano in direzione ostinata e contraria rispetto al suo viso, tale e quale a quello di un angelo. Come tutti gli altri eroi arrivati prima di lui, il maledetto, poetico e straccione Kurt Cobain era infatti giovane e bellissimo, l’icona perfetta del mondo che lui stesso contestava.
Cicciogamer, e gli altri idoli del popolo che ha ora dai dieci ai vent’anni, no. La rivoluzione sta tutta qui, guadagnano migliaia di euro al mese con i loro video su youtube pur essendo brutti, fuori forma, ingobbiti da ore e ore passate ogni giorno davanti al proprio pc. E’ la rivincita dei nerds, titolo di una divertente e irreale commedia del 1984, l’opposto della realtà vissuta da noi, che da ragazzi giocavamo a pallone e che allora vedevamo il computer come una maledizione riservata solo agli sfigatoni, quelli che passavano la loro vita chiusi in camera, senza lo straccio di una fighetta anche cessa che gli prestasse un po’ di attenzioni. Così, da allora fino ad ora, con l’apparire che è diventato via via sempre più preponderante a causa di Facebook, con noi e con tutti quelli che adesso hanno passato i vent’anni perennemente immersi in qualsiasi forma di fitness per non sfigurare nei selfies che dobbiamo farci quotidianamente per essere accettati dal nostro palestrato ed elegante gruppo social.
Sabato sono stato al Games Week di Milano coi miei figli, Vinicio, che ha tredici anni, Zeno, che tra pochi giorni ne compirà undici, e con Miranda, mia nipote, altissima dodicenne. E’ stato faticosissimo, mi mancava giusto una croce sulle spalle. Correvamo da un futuristico padiglione all’altro di una fiera che pareva il set di un film di fantascienza, a caccia, appunto, dei gamer. Con noi c’era Martina, ventottenne bellissima, atletica, ex tennista, spesso in bicicletta, a correre o a camminare sui sentieri della Valle Seriana almeno per un paio di ore al giorno, una ragazza che non credo abbia mai giocato a un videogames. All’ingresso mi ha fatto un sacco ridere, vedendo il fiume di nerds accalcati a fare foto con altri nerds, quelli famosi, ha commentato divertita e divertente: “Mamma mia, quanto sono tutti brutti”.
Sarebbe lunga e lungi da me, che sono solo un giornalista manco famoso, dire cosa sia un bene e cosa sia un male. Resta che di lavoro osservo e quello che mi è rimasto addosso da sabato è che trovo bello che dopo tanta omologazione stia arrivando una generazione che va già compatta in direzione ostinata e contraria rispetto a quelle venute prima, ragazzi che rifiutano Facebook, che non vedono il computer come un pericoloso vizio, che non misurano chi vale dalla bellezza estetica, che scelgono cosa vedere e cosa ascoltare su youtube nonostante il pensiero dominante non passi i loro preferiti né in televisione né in radio. Significa che qualcosa sta cambiando e ogni cambiamento è positivo perché è un momento per andare avanti.
Matteo Bonfanti