walemfigudi Valerij Lobanovskij

«É finita». Sono le laconiche, inequivocabili, indimenticabili parole di Bruno Pizzul di quel caldo 3 luglio del 1998. Italia contro Francia.
Gigi Di Biagio contro Barthez, rigore decisivo.
Traversa secca e tutti a casa.
Era all’apice della sua carriera, il centrocampista romano, cresciuto nel vivaio della Lazio, pupillo di Zeman al Foggia (che lo imposta come mediano) e poi 8 stagioni divise equamente fra Roma (sponda giallorossa) e la Beneamata (dove diventa fondamentale per il centrocampo di Cuper per poi terminare la propria carriera tra Brescia e Ascoli, dove comunque ebbe modo di rifarsi del rigore sbagliato…
Terminata la carriera il centrocampista si tuffa subito nel fantastico mondo delle panchine, prima in squadre minori dell’hinterland romano mentre nel 2011 approda nel giro della nazionale, sostituendo a luglio di quest’anno Devis Mangia come allenatore della Nazionale italiana Under 21.
Ma l’esordio – proprio qualche giorno fa – è piuttosto amaro. Contro il Belgio, all’oriundo Battocchio (Udinese, in prestito all’affiliata inglese Watford)  rispondono Hazard jr., Malanda e Ferreira-Carrasco. Sulla panchina dei Diavolini Rossi siede però una vecchia conoscenza del calcio italiano.
Un centrocampista tra i più forti e forse più sottovalutati degli ultimi vent’anni: Johan Walem.
Vallone, classe 1972, in patria è un vero e proprio eroe nazionale, considerato uno dei centrocampisti più importanti del Regno.
Regista puro, arriva in Italia nell’estate 1997 dall’Anderlecht, voluto dal lungimirante diesse – all’epoca sul registro paghe di Pozzo a Udine –  Pietro Lo Monaco. Assieme a lui giunse quell’anno un altro talento belga, il difensore Régis Genaux (prematuramente scomparso a 35 anni, una carriera fra Standard Liegi e appunto Udinese).
Già all’epoca si iniziava a tracciare la linea di mercato dell’Udinese: una rete di osservatori fittissima, report da ogni parte del mondo e la caccia maniacale ai migliori affari sparsi per tutto il pianeta. Così facendo l’Udinese ha consolidato la sua presenza in serie A (dove milita dal 1995-1996 in maniera ininterrotta) e ha lanciato una serie di calciatori sconosciuti che – passando dal Friuli – sono diventati campioni affermati.
Walem arriva in Italia già con i gradi di giocatore affermato, non è una scommessa.
Muove i primi calci a Molenbeek (cittadina dell’hinterland di Bruxelles), dove a 8 anni tira i primi calci con la casacca del RWDM.
A 14 anni viene notato dagli osservatori della più prestigiosa squadra belga e inizia la trafila nelle giovanili biancomalva dell’Anderlecht, dove il nostro esordisce in Division I nel 1991.
Titolare inamovibile per sei stagioni, piedi buoni e cervello fino,  cervello del centrocampo dell’Anderlecht dove condivide il campo con stelle del calibro di Alin Stoica e Bruno Versavel, togliendosi lo sfizio di vincere tre campionati e una coppa belga da protagonista assoluto.
Belgio, belga, belghi, belgi: con gli aggettivi sto campionato è un casino e Walem lo sa bene. Per questo motivo pensa bene di emigrare nel Belpaese. E permetteteci di divagare (abbiamo da coprire 5000 battute e l’abbiam presa proprio larga a questo giro): ci sarà pure un motivo se il paese è più famoso per la birra che non per altro: è tutta colpa di quei maledetti aggettivi.
Torniamo a noi. È il fiuto di uno dei più vulcanici diesse italiani – Pietro Lo Monaco – a portarlo alla corte di Pozzo, in Friuli.
É l’estate del 1997 e a Johan va la casacca numero 6.
In panchina siede Alberto Zaccheroni, quello del miracolo del terzo posto, e in campo ad una serie di talenti nostrani (Gilberto D’Ignazio Pulpito, Pierini, Bachini e Statuto su tutti) fanno capolino una serie di campioni stranieri, tra cui Gargo, Helveg, Navas, Appiah, Bierhoff, Marcio Amoroso, Pineda, Louhenapessy, l’egiziano Emam (lo “Zico delle Piramidi” che in Friuli non riuscì ad affermarsi) e Martin Jørgensen.
Il regista si ritaglia spazio nella formazione bianconera e l’anno successivo. con l’avvicendamento in panchina di Franceso Guidolin, per il nostro amico belga è la consacrazione definitiva.
Il fisico è minuto (1,69 m per 68 kg), ma il fosforo è tanto. La manovra dell’Udinese passa sempre per i suoi – educatissimi – piedi, è un regista puro, purissimo, come pochi ce ne sono in Europa.
Non è un “centrale di centrocampo”, non è un “volante”, non è un rubapalloni, è uno di quei pochi giocatori che organizza il gioco della squadra e al quale tutti i compagni di squadra passano il pallone perché sa sempre in anticipo cosa farne: cambi di campo, passaggi filtranti di prima, lanci come fossero dei traccianti e possesso palla quando la squadra deve rifiatare.
Titolare inamovibile, conquista un posto fisso nella nazionale belga (dove ha esordito giovanissimo, a diciannove anni) e l’anno successivo viene girato  al Parma di Tanzi con Marcio Amoroso, dove con 24 presenze e un gol contribuisce in maniera netta al buon quinto posto finale della squadra guidata da Malesani. Conquista pure una Supercoppa Italiana, sulla carta, anche se in realtà non entrerà in campo in quel match.
Nel 2001 rientra in Friuli dove però Spalletti gli preferisce i vari Fiore, Giannichedda e un giovanissimo Pinzi, costruendo così un centrocampo più muscolare e coperto ma senza le geometrie garantite dal piccolo regista belga.
Solo 14 presenze nella sua ultima stagione in bianconero, prima di fare ritorno in Belgio per vestire la maglia di un’altra grande del campionato belga, quella biancorossa dello Standard Liegi, dove giocherà un paio di buone stagioni e nel frattempo vestirà la maglia numero 10 dei Diavoli Rossi ai Mondiali 2002 in Corea e Giappone, titolare nel centrocampo disegnato da Waseige: Walem è determinante nel passaggio del girone di qualificazione, dove gioca 2 partite e segna un gol nel 3-2 alla Russia che regala ai belgi la qualificazione agli ottavi di finale.
Il bomber è il capitano Marc Wilmots, scafata punta e ora allenatore della nazionale maggiore belga, ma il cervello è Walem: preciso, puntuale, chirurgico.
Ma i passaggi al bacio di Walem nulla possono contro il Brasile di Scolari: negli ottavi di finale Ronaldo e Rivaldo spazzano via la compagine belga e prendono la rincorsa per vincere la loro quinta Coppa del Mondo.
Chiusa la parentesi mondiale Walem giocherà ancora un anno con lo Standard Liegi prima di fare rientro in Italia: ad assicurarsene i servigi è il Torino di Ezio Rossi che cerca di risalire il prima possibile dai gorghi della serie B allestendo una squadra sulla carta ambiziosa.
Un giovane Sorrentino in porta, difesa assortita con ivari Mezzano, Castellini, Saber (tunisino ex Napoli), Comotto, Balzaretti, Galante, centrocampo muscolare con De Ascentis, Conticchio, Vergassola, Fuser (ai quali, a gennaio, si unirà la scommessa Mudingayi) e attacco con Pinga e Ferrante.
Walem era la scommessa per dare un gioco alla squadra, l’erede ideale del connazionale Vincenzino Scifo (l’eterna promessa) che in maglia granata fece bene, ma la stagione è un flop, con un mediocre dodicesimo posto e un’altra stagione in cadetteria.
Walem giochicchia, fermato dalla pubalgia. 21 presenze e due gol, non male ma niente di eccezionale per un giocatore che negli anni precedenti ha saputo dimostrarsi se non una stella di valore mondiale comunque un valore aggiunto nelle squadre per le quali giocava.
A fine stagione insieme a Ferrante prende un volo di sola andata verso la Sicilia per vestire la maglia rossoazzurra del Catania, sempre in serie B: il tecnico è Maurizio Costantini (una vita sulle panchine delle serie minori) che alle pendici dell’Etna ha l’occasione della vita, ma dopo sole 11 giornate viene esonerato e al suo posto viene chiamato il vecchio lupo di mare Nedo Sonetti.
La stagione degli etnei è scialba, la squadra – nonostante Totò Fresi in difesa e il tandem d’attacco Ferrante/Jeda – non va oltre il tredicesimo posto: per Walem sarà l’ultima stagione di calcio giocato, conclusa con sole 14 presenze sia per scelta tecnica che per una serie di malanni fisici.
Decide di appendere le scarpette e di dedicarsi ai giovani, partendo dalla squadra Primavera del suo primo amore, l’Anderlecht.
Il legame con l’Italia è molto forte e Johan torna in Friuli: diventa allenatore prima degli Allievi Nazionali e poi della Primavera, svolgendo un egregio lavoro e amalgamando a dovere i ragazzi cresciuti nelle giovanili della squadra bianconera con la serie di giovani talentini portati a Udine da tutto il mondo.
Fatta un po’ di gavetta, eccolo sulla panchina dell’Under 21 del suo Paese, dove sta coltivando una generazione di potenziali fenomeni.
«Da voi sono rimasto 10 anni, ho imparato tanto. In particolare da Francesco Guidolin a Udine. Lo seguivo, guardavo gli allenamenti e di lui mi ha sempre colpito la cura dei dettagli e dei particolari e la cultura del lavoro». Dell’Italia mi piace la dedizione e l’impegno negli allenamenti. Sono responsabile di tutte le giovanili, anche se alleno solo la 21. Ma sovrintendo su tutto. Abbiamo fatto un bel lavoro, ci abbiamo creduto. Ci sono anche dei ‘96 e ‘97 molto forti. Yannick Ferreira Carrasco? Se continua così diventa un super big». E se lo dice Walem c’è da crederci.