Intanto le due parole a fianco, famiglie arcobaleno, che a me sia il suono che il significato mettono addosso in pieno la speranza, che finalmente finisca la pioggia e che arrivi il sole, come nella famosa canzone dei Rokes, l’unica cover che facevo quando qualche anno fa mi dilettavo a fare il cantautore. Poi soprattutto io, un uomo, padre di due ragazzi, a cui in alcuni periodi ho fatto da mamma, eterosessuale, ma come tutti con la sua percentuale omosessuale, ora minoritaria, ma in futuro chissà, e che ho scoperto che coi miei figli non è minimamente rilevante chi mi piace, che sia una donna o un uomo, un albero o una nuvola simile a un elefante o la stella più bella quando arriva la notte. Neppure è importante se li ho fatti io o se lo sperma sia stato quello di un altro, se ci sia di mezzo una provetta o una pozione magica o una cicogna arrivata qui per caso da un paese caldo caldo che sta al sud. Conta l’amore, che per me questa sera è finire al volo di lavorare, correre da Zeno, il mio secondo, recuperarlo all’allenamento, baciarlo sulle guance, accarezzarlo sulla schiena e farmela raccontare senza filtri e fino in fondo. E’ dirgli “questa notte siamo soli, scegli cosa ti va che andiamo a mangiare”. E’ occuparsi, è averne il tempo, è procurarselo, parlandogli di Leao e di Maldini, di Orio, di amici e di ragazze, di Saba e di Montale, mentre piano piano chiudiamo gli occhi e il nostro divano diventa all’improvviso il tappeto volante delle “Mille e una notte”. E’ il mio esempio, è la mia dolcezza, è la mia comprensione. Tutto qui, qualcosa che per noi genitori è semplice e essenziale. E che scrivo per l’ultima volta, sognando di svegliarmi domani in un’altra Italia, più umana e più normale. E che abbia in cielo l’arcobaleno.
Matteo Bonfanti