Bergamasco, poco più che ventenne, atalantino fino al midollo, frequentatore di Zingonia fin da bambino. Un poker di elementi che in epoca recente, complice un front office pregiudizialmente negato alla fiducia nei profeti in patria, avrebbe significato il parcheggio perpetuo sui tavoli verdi in giro per l’Italia anche per Mattia Caldara. Che però ha avuto la ventura di incrociare Gian Piero Gasperini, grande levatrice di giovani, uno che all’usato sicuro e al carrello dei bolliti non crede per niente. E alla fine, pur avendolo tenuto in naftalina fino alla vigilia del match clou vinto col Napoli, con l’esplosivissimo Milik del pre infortunio a cui badare, gli ha permesso di fare il salto consegnandogli le chiavi della difesa. Ne è venuto fuori un califfo, un 13 di maglia che sul piatto delle trattative vale 25.
Tanti sono i milioncini che Madama Juventus, vecchia e saggia signora del pallone che ha ottenuto di spalmare i quindici del mero cartellino in quattro esercizi, sgancerà per il quasi ventitreenne di Scanzorosciate. Quattro il premio valorizzazione incassabile alla ventesima presenza bianconera dal club di Antonio Percassi, che si terrà il pupo d’oro in prestito fino al giugno dell’anno prossimo. Sei, invece, il bonus, manfrina da calciomercato al sapore di voglia di tirare sul prezzo e pateracchi che contempla il raggiungimento degli obiettivi di squadra. In pratica lo stesso conquibus ricavabile da Roberto Gagliardini, uno degli amiconi di tutta una vita spesa a sognare il passaggio del treno giusto giocando ai piedi del predellino. Quando le prospettive di un carrierone parevano lontanucce. Ovvero nelle giovanili, con la chicca della finalissima Primavera del 2013 persa a Gubbio dalla Lazio. Nell’esordio concesso da Stefano Colantuono, alias il nemico dei baby fatti in casa, quel 18 maggio 2014 a Catania, a vent’anni e tredici giorni, al posto di Davide Brivio. Quindi nella gavetta in B fra Trapani, 21 e 2 reti a referto sotto Roberto Boscaglia, sostituito nel finale da Serse Cosmi, e Cesena, 27 e 3 in una colonia nerazzurra (Capelli, Lucchini, Perico, Kessie, Koné, Molina, Rosseti e Varano) agli ordini di Massimo Drago, tecnico di grido ex del Crotone portato in cadetteria dal Gasp. Niente sfracelli, personalità in crescendo: non un campioncino in erba, ma un orobico dall’etica lavorativa del magutto, un mattone via l’altro finché la villetta di testa non cresce rigogliosa nel residence dei sogni.
A decidere del futuro del buon Mattia, venduto in pratica la settimana prenatalizia anche se ufficializzato il 12 gennaio, sono bastati sei mesi alla grande. Inaspettati: alzi la mano chi avrebbe mai potuto prevedere il contrario in estate, quando a dirigere il terzetto dietro era Toloi e stop. Nemmeno i dirigenti sapevano di avere il nuovo Bonucci tra le mani. Il campo ha raccontato di un potenziale rimasto inespresso finché l’uomo giusto al comando non ha deciso di tirarglielo fuori a suon di delega delle responsabilità, forse per scommessa e per pararsi il didietro, nel periodo in cui la squadra galleggiava nei bassifondi, perché nemmeno il 3-1 al Crotone aveva allontanato gli spettri dell’esonero. Messe alle spalle le titubanze in pre season nel ruolo di centrale di lato, in bilico sul trampolino di lancio delle visioni oniriche da Europa League alimentate da una realtà sempre più succulenta, dodici gettoni in campionato e pure tre pallonesse infilate tumide in saccoccia, quella decisiva di Pescara alla decima e in seguito il paio ravvicinato tra dodicesima e tredicesima, il raddoppio nel 3-0 col Sassuolo girando di mancino il traversone del compagno poi catturato dall’Inter e l’altro cabezazo con la Roma, apripista di una rimonta epica. Non è nuovo a metterla, era già alla cinquina nel solo biennio con i Cina-boys. Anche in questo somiglia al tipetto di cui dovrebbe prendere il posto, benché ormai la Juve opti volentieri per la linea a quattro: l’età avanzata di Barzagli e quella non più verde di Chiellini gli spalancherebbero le porte di un impiego da titolare senza discussioni, perché a Torino la linea verde attualmente si limita a Daniele Rugani, che di bergamasco ha solo la fidanzata, la bellissima giornalista (meno che carine, noialtri, non ne sforniamo) Michela Persico. Certo, se la Dea scalasse l’Olimpo fino all’amoroso amplesso con Europa parleremmo di un fenomeno tra i fenomeni. Azzurrino, azzurrabile – vedi stage di Ventura -, dal nerazzurro al bianconero con un interludio di un’annata e mezza per dimostrare di essere speciale. Difetti ne abbiamo? Lo scivolone su Zapata nel ko casalingo con l’Udinese e il poco mordente contro il datore di lavoro dall’estate 2018 in avanti nel doppio confronto campionato-coppa, anche perché Mandzukic (Higuain, assente l’11 gennaio, non ha inciso) è un osso duro, pur se la marcatura nel mercoledì della Coccarda se l’è persa un Toloi in vena di ballo col liscio. Un passo per volta e il cammino si farà in discesa. Intanto, cassa piena e sorrisoni. What else?
Simone Fornoni