Ecco, di lavoro faccio il giornalista sportivo, il mio ruolo qui, dico al giornale, dove sono ora, in questo momento, l’una e trentacinque circa della notte tra domenica e lunedì, è il più alto in grado, sono infatti il direttore responsabile da tempo immemore, forse il 2009. Per il novanta per cento il nostro settimanale parla di pallone, questo perché giocavo e gioco ancora, anche adesso a quarantasei anni suonati, al catino di Orioland, male e acciaccato per via di un ginocchio malandato. L’altro dieci, una dozzina di paginette, se lo spartiscono il ciclismo, perché ho corso da bimbino nel Gs Mario Corti vincendo addirittura una gara a Morbegno, e il volley, perché all’oratorio mi buttavano dentro nei tornei estivi facendomi fare l’alzatore, il ruolo più sfigato, con l’onesto soprannome di “Jack Salamoia”, il pessimo pessimissimo di “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, un uomo-pupazzo che alla fine del film si scioglie e rimane senza mani. Del tennis non so alcunché, le regole, ma non tutte, diciamo grossomodo, i colpi, più che altro il dritto e la volée, e non per lavoro, ma perché ho frequentato tanto e a lungo una tennista di buon livello. Nelle lunghe serate tra noi due mi spiegava i fondamentali, facendomi vedere come ci si muove, un paio di film e cinque o sei partite, ma per me non c’era modo di capirne l’importanza, poi ci siamo lasciati e io da lì non me ne sono minimamente più occupato. Sono uno che, pure se si mette a parlare, ama toccare chi incontra, il braccio, la mano, la schiena. Lì, nel tennis appunto, che sia su un prato o su una terra battuta, c’è comunque uno steccato, la rete e non è che si possa passarci sopra, tipo ti fermi, la salti via con un balzo e vai a tirare due spallate all’avversario per non sentirti solo al mondo. Sono e sarò sempre innamorato degli sport di contatto, tre botte al ginocchio di Zio Ferdi quando si mette a farmi male malissimo nei pressi del calcio di rigore perché non me la prende mai, o il sesso libero, non con Zio Ferdi, e sempre dentro un certo margine. Eppure questa mattina c’era la finale in Australia con Sinner e, come tutti, ci ho preso gusto un po’ più del giusto. Mi sono alzato e sono arrivato in ufficio che Jannik perdeva di brutto. Mi sono messo con gli amuleti, il santino di Papa Giovanni perennemente in mano come quando gioca il Milan, e il Pandino di vetro, non addosso, ma comunque alla portata, che ho notato che, se lo guardo, porta anche abbastanza bene. Sembravo un vero appassionato, un tifoso, pregando la vincesse, due gloria al Padre, due Ave Maria, due Padre Nostro, ad libitum, mangiandomi le unghie. E ce l’ha fatta. E alla fine ero contento, direi addirittura strafelice, e penso pure cvhe il successo del ragazzo mi abbia migliorato quell’attimino la lunghissimissima giornata di lavoro, conclusasi ora, ben dopo la mezzanotte. Va detto, per inciso, ci tengo, che Jannik è roscio di capelli come me e non è che siamo in tanti, una minoranza in via d’estinzione, tre gatti, e quindi ci si protegge al di là di quello che si fa nella vita, a prescindere, da simili a rischio, nella stessa ansia di non vedere più in giro bambini piccini picciò uguali a noi, poetici e affaticati perché spesso presi in giro, chiamati soprattutto “Carota”. Ma non è solo questo, è anche tanto tanto la magia che hanno i campioni, talmente belli, eleganti, bravi senza nemmeno volerlo, spontanei, unici, che ci s’innamora al volo del loro sport anche se non ce ne si capisce sostanzialmente una mazza, uguale a Tomba quando vinceva le medaglie d’oro a Salgary e io e mio babbo ci svegliavamo presto nonostante che sugli sci non ci saremmo andati mai. Tre vittorie di fila e so che proverò pure a fare l’espertino, dicendo con gli amici del calcio due cazzate sentite alla tv, lo smash, il rovescio, tre match point, il lungo, facendo persino due capatine al centro padel vicino a casa coi miei due pargoli, Vi e Ze. Ed in ultimo, non certo per importanza, è anche lui, il personaggio, il buon Sinner, che ha ogni cosa addosso per farsi amare da noialtri così così, è bruttino, è dolce, non è muscoloso, non è minimamente sull’amore e sui suoi misteri con la gnocca del momento, insomma non rompe le balle. E’ un cucciolo, è un orsetto da abbracciare. Ed è un po’ il nostro trionfo, di noi che non sembriamo italiani medi, piuttosto irlandesi, tirolesi, nordici, tedeschi, strani, svizzeri e comici, spaventati e guerrieri poco convinti, che ogni volta che alziamo una coppa ci mettiamo a ringraziare mamma e papà. Commossi. Per sensibilità, per gratitudine, per quando fuori piove sapendo arriverà il mal tempo nell’Europa continentale.
Matteo Bonfanti
Foto Antonio Milesi