di Matteo Bonfanti

Il calcio è davvero una favola, qualcosa di lontanissimo dalla realtà dei nostri giorni. Cito la spassosa prima pagina della Gazzetta dello Sport, da conservare con cura, per le generazioni che verranno: “Sarri, non può allenare. Mi ha dato del frocio e del finocchio”. Da cosa parto? Dal martire, Roberto Mancini, attuale allenatore dell’Inter? Dal carnefice, il tecnico di un Napoli che potrebbe tornare a vincere lo scudetto? Dal mondo del pallone che ha una paura fottuta di fare outing? Oppure da mio figlio Zeno, sette anni, in un forte momento di difficoltà con Paolo, il suo migliore amico?
I temi sono tanti, scottano. Quindi mischio tutto e comincio coi primi pensierini che mi vengono in mente. Il Mancio, classe 1964, sposato, tre figli, ci nasconde qualcosa, magari anche solo un limone con Vialli, da ragazzi, per provare l’effetto che fa. Soffre troppo per quel che gli ha detto il collega. A me se mi danno del culattone, e mi accade spesso, soprattutto il martedì e il giovedì quando vado a giocare coi miei amici, non è che faccio il diavolo a quattro. So che mi piacciono un sacco le donne e, se mi chiamano culanda, non mi tocca minimamente. Manco mi sfiora, anzi mi fa ridere, ne vado un po’ orgoglioso, che ho una parte femminile che si vede. Tornassi a casa inviperito, a lamentarmi tutta notte su facebook, su twitter e a letto con mia moglie, due domande due me le farei. Mi chiederei perché ci soffro tanto, che magari ho sbagliato lato e il tempo passa e finisce che trovo il coraggio di cambiare solo da vecchio, a sessant’anni, e mi sono perso una vita dietro alle tette e alla topa quando in fondo sentivo che preferivo i pettorali scolpiti e pelosi e le gambe a x e muscolose.
Se è così, il consiglio che do a Mancini è di fare il corso di crescita personale in programma questo fine settimana a Rosignano, in Toscana. Insieme a tante altre persone potrebbe aprire il suo cuore, senza timori, e scoprire che ognuno di noi ha in sé la forza di dire al mondo i propri gusti sessuali. L’ha fatto Tiziano Ferro e non è che abbia smesso di fare canzoni, il Mancio potrebbe tranquillamente continuare ad allenare.
Se invece la storia è un’altra, Roberto, che da quanto si dice sarà il prossimo allenatore della nazionale, pare Zeno, sette anni, quando litiga con Paolo, il suo compagno di banco. Ne parlavamo proprio ieri, per mano, tornando da karatè e il mio bimbo, che è un tenero, aveva la faccia scura. Gli ho chiesto: “Tesoro, che c’è?”. E lui: “Sai, papà, con Paolo non ci parliamo più. Giocavamo a Fantascatti e mi ha sgridato. Mi ha detto che non sono sportivo. Ma io vado ogni settimana a fare arti marziali, quindi si sbaglia, mi dice le bugie e io mi sono arrabbiato”. La mia analisi: “Amore mio, intanto Paolo voleva dire che vuoi sempre vincere e poi c’è che si litiga quando si sta insieme, ma poi finisce lì, altrimenti non si vive più”. Zeno, che è parecchio intelligente, mi è apparso sollevato e sono sicuro che stasera mi dirà che hanno fatto pace. Non capiterà a Mancini e Sarri, per via del primo che fa il pupo imbronciato e che non accetta le scuse.
Sullo sfondo delle polemiche del dopo Napoli-Inter l’incredibile omofobia che attanaglia il pallone. L’estate passata facevo ogni settimana due pagine di approfondimento sul calcio provinciale. Più o meno a giugno mi sono messo di buzzo buono a chiedere a una decina di allenatori come un tecnico gestisce la propria rosa quando due giocatori si innamorano l’uno dell’altro. Non pensavo di fare niente di trascendentale, i gay sono uno su cento, i dilettanti a Bergamo più o meno quattromila, significa che la domenica scendono in campo almeno quaranta omosessuali. Tra questi, ovviamente, ci saranno ragazzi che si innamorano del proprio compagno perché l’amore è come dice mia nonna Pina: “Se stai vicino al fuoco, finisce che ti bruci”. Tradotto: “Se stai accanto due volte la settimana per tre ore, quanto dura un allenamento, e poi l’intera domenica, può capitare di invaghirti”.
Sicché ho chiamato un po’ di mister a caso, persone straordinarie e sempre disponibilissime. Tranne che sull’omosessualità: due mi hanno risposto che non avevano tempo, quattro mi hanno proposto di virare sul tema del razzismo verso chi è di colore, quattro mi hanno mandato, pur dolcemente, a cagare. La paura era troppa.