di Simone Fornoni
La questione è stata sollevata ieri da una domanda, estemporanea quanto innocente, di quel bravissimo e simpatico eterno ragazzo di Simone Malagutti di Mediaset al presidente Antonio Percassi: “Vorrebbe essere invitato allo stadio, che ne dice?”. “Me lo chieda lui, no problem”, la risposta, secca ma serena. Apriti cielo. Una ferita collettiva che si riapre. No, è anche personale. Al sottoscritto i pochi e sparuti lettori non perdoneranno mai di aver preso le difese (su TuttoAtalanta.com) di Cristiano Doni e di un’Atalanta ignara – come tutti al netto degli inquirenti – che gli era ovviamente legatissima, quando un giornalista di “Repubblica” attaccò Luca Cigarini per aver voluto dedicare un gol proprio al suo capitano esultando con la mano aperta sotto il mento. Il temporaneo raddoppio contro il Novara, 25 settembre 2011, a Bergamo, 2-1. Il 9 agosto precedente, il numero 27 (o 72, quello che adesso è di Josip Ilicic) si era beccato tre anni e mezzo di squalifica dalla Commissione Disciplinare della Figc, pena poi allungata di due.
Le prove (o meglio, gli indizi gravi e coincidenti) del suo coinvolgimento nelle combine, soprattutto in un’Atalanta-Piacenza la stagione precedente in B, sarebbero saltate fuori dopo il suo arresto il 19 dicembre di quell’anno. Intercettazioni telefoniche dirette su un’utenza intestata a un lavorante del famoso stabilimento balneare di Cervia, sms soprattutto, diffuse dalla Procura di Cremona a istruttoria conclusa. Il resto è storia. Errore di valutazione personale o no, visto che la giustizia sportiva colpiva (e colpisce) alla cieca costringendo il difendente a dimostrare la sua non colpevolezza, in barba a qualunque norma elementare di civiltà giuridica, ai tempi fu un soprassalto e un eccesso di garantismo. Perfino la politica locale non voleva rassegnarsi alla detronizzazione dell’eroe del pallone e di qualunque ragazzino lo calciasse per amore, per divertimento o anche solo per sognare di emulare le gesta del primo cannoniere di sempre (112) del club, cittadino benemerito di Bergamo dal 4 dicembre 2008. Ricordate il corteo del 10 giugno di quell’anno con 4 mila persone sotto la spruzzata di pioggia?
La Dea ne uscì con 6 punti di penalizzazione (più due nella successiva) in quella stagione, festeggiando il primato virtuale, cioè al netto della sanzione, appunto contro il Novara, tra migliaia di numeri 27 a sventolare in Curva Nord. Quella che non esiste più. Ora c’è il Muro Nerazzurro, dallo stadio “Atleti Azzurri d’Italia” si è passati al Gewiss Stadium, reduce dalla prima di tre tranches di ricostruzione parziale e restyling. Non è la stessa la squadra, perfino la dimensione è cambiata: dalla salvezza by Stefano Colantuono come imperativo categorico e soprattutto unico, alle speranze in alta quota anche in Champions League sotto Gian Piero Gasperini. È proprio questo il punto: Cristiano Doni, cui giustamente si imputa di aver tradito la fiducia dei tifosi con quel “Nessuno può prendervi per il culo, io per primo” gridato al microfono, è caduto da tempo dal piedistallo su cui tutti noi, inconsapevolmente o volontariamente, lo avevamo issato.
Alla pubblica esecrazione è seguito l’oblio. Il silenzio sulla persona e su una vicenda che brucia. Assordante almeno come i cori di pubblico sostegno, in quella brutta estate del 2011 delle disillusioni, all’idolo che ben presto sarebbe diventato una zavorra, il traditore per antonomasia, la sentina di tutti i vizi. Secondo i bene informati avrebbe pagato per tutti, senza che i bene informati abbiano saputo produrre uno straccio di prova né individuare i tutti su cui gettare fango. L’uomo da scaricare, il Superman del calcio bergamasco retrocesso a Clark Kent del chiringuito e dell’anonimato, la criptonite eterna da sotterrare. Uno che qui è stato qualcuno, se non tutto, e ora è uno dei tanti. Un comune cittadino, se vogliamo un peccatore. Questo non è un invito a ricorrere alla virtù cristiana del perdono, tanto in voga in una città di prevostoni che conserva il malvezzo di puntare il dito su chi attenta alle pubbliche virtù senza avere il buon gusto di avvisare prima. È un invito a lasciar andare all’Atalanta l’uomo Cristiano Doni, ex calciatore ed ex divinità di un culto civile decaduto. Che poi il biglietto se lo paghi lui o ci pensi il Presidente, affari non nostri.