Treviglio
– “Di fronte c’era l’Atalanta, circostanza che interesserà sicuramente una platea bergamasca. Lui, il capitano, segnò, uscì e se ne andò, tra sciarpate, lacrime e giri di campo”. Lo spunto per un libro vissuto da tifoso, il terzo della serie, “ma le prime due sono pubblicazioni di natura scientifico-accademica, questa è figlia del ragazzo di dieci anni che scendeva in campo all’oratorio con la maglia del giocatore preferito”, è Alessandro Del Piero al passo d’addio con la Juventus. Era il 13 maggio 2012: “Un’immagine indelebile. Di qui la scelta dell’altra parte del titolo, ‘L’ultimo atto di un campione infinito’. La metafora dell’uscita di scena di un artista, di un primattore, di un protagonista assoluto – sottolinea Alberto Galimberti, docente, collaboratore alla cattedra di Politica e Comunicazione alla Cattolica di Milano, giornalista per la Provincia di Como e per “Segno del Mondo”, mensile dell’Azione Cattolica -. Da bambino ritagliavo gli articoli di giornale su di lui e sulla Juve, non immaginavo che la passione mi avrebbe portato un giorno a firmare un’opera sul mio preferito. Scritta col cervello di una persona adulta, ma il cuore di un adolescente”.
33 anni compiuti il 7 luglio, comasco di Oltrona di San Mamette, “confinante con Appiano Gentile, ma non lo frequento né sono diventato interista”, Alberto presenterà “Alessandro Del Piero. L’ultimo atto di un campione infinito”, edito da Diarkos, sabato 10 settembre, a mezzogiorno e mezzo, sotto i portici di via Matteotti a Treviglio, nell’ambito della programmazione di Treviglio Libri, in una chiacchierata col direttore di Bergamo & Sport Matteo Bonfanti. Vietato spoilerare, anche se la tentazione è fortissima: “Del resto le imprese di Alex sono di dominio pubblico, sono storia. Com’è storia la maglia rosa, quella della Juventus dei primi tre anni dalla fondazione, indossata al sipario. Chiunque ricorda le tappe della sua carriera. Non vuole essere e non è una biografia, bensì un ritratto, un racconto fatto di emozioni sulla vicenda sportiva e umana di un fuoriclasse che ha attraversato cadute e risalite, vittorie e sconfitte. Infinito, appunto: capace di dribblare l’infortunio al crociato a Udine e superare la morte del padre, come di accompagnare la sua squadra in B da campione del mondo”, prosegue l’autore, colto nella pausa tra una riunione e l’altra.
Nessuna ubbia da scrittore-ultras, ci mancherebbe: “Da giornalista non mi sono mai nemmeno occupato di sport, ma di cultura e delle pagine ‘opinioni e commenti’. I campioni non hanno colore. Non a caso ho voluto riservare un capitolo ad altri esempi come Paolo Maldini, Javier Zanetti e Francesco Totti. Anche nella prefazione di Bruno Pizzul si sottolineano i valori di una bandiera supportati da doti temperamentali ormai rare: la fedeltà, il carisma e il senso di responsabilità”. Perché proprio il fantasista di San Vendemiano per l’esordio da scrittore di sport? “Perché è stato un numero 10 completo, in grado di abbinare tradizione e modernità, fantasia del dribbling e potenza atletica, vedi corsa per il raddoppio in semifinale con la Germania – chiosa Galimberti -. Un 10 poetico che riempiva gli occhi, ma anche pragmatico, perché puntava all’efficacia. Un campione può unire l’utile e il dilettevole, anche quando perde: il gol di tacco sinistro nella finale di Champions col Borussia Dortmund, l’assist in rovesciata a Trezeguet a San Siro contro il Milan quando con Capello in panchina ormai giocava molto meno. Certo, c’è anche la linguaccia ai detrattori segnando la punizione all’Inter al ritorno in A: il gesto simpatico e sdrammatizzante di uno che non ha mai detto una parola fuori posto. Un campione se lo può permettere, soprattutto se ha sempre dimostrato sensibilità e misura per non destabilizzare spogliatoio e ambiente”.
Simone Fornoni