Io ho due amori, i miei figli, Vinicio e Zeno, due amori come non ne esistono al mondo. Mi vengono a cercare quando sono perso lungo le strade della mia città, mi abbracciano forte e mi insegnano di nuovo a cantare. Guardano la luna accanto a me, si mettono a raccontare sogni in tecnicolor sotto il piumone se a Bergamo, proprio come oggi, non arriva e non arriverà il sole. Mi baciano sulle guance e mi aprono i loro cuori, mi parlano dei loro amici, figli di genitori venuti da terre lontane, scappati da Paesi dove si spara pure ai bambini. E mi insegnano a essere un uomo, che per loro non è essere il marito che non sono stato o il cattolico che non ho voluto essere, ma una persona che sa dove si trova il bene e cosa sia il male. Il bene è in un campo di pallone, il bene è ascoltarsi e poi parlare, il bene è cercarsi mentre fuori piove, il bene è sentirsi tutti uguali, il bene è immedesimarsi, il bene è soprattutto desiderare la pace per se stessi e per gli altri intorno.
Io ho due amori, i miei figli, Vinicio e Zeno, due amori come non ne esistono al mondo. Hanno diciotto e sedici anni e sono figli di un altro pianeta, che io non conosco, ma con cui devo farci spesso i conti, innanzitutto perché i miei tesori stiano bene, in pari. Viaggiano con i loro coetanei, Adam, Malik e Sedi, bergamaschi d’Africa, amano ragazze nate all’opposto del pianeta Terra, Marti ora, di origine vietnamita. E, per questo, sentono i confini come qualcosa di assurdo, un’aberrazione, barriere nella testa dei vecchi matti che adesso comandano le nostre nazioni.
Ho smesso di ascoltare i telegiornali dell’emittente di stato la terza volta che ho sentito dei colleghi parlare di guerre giuste, preferisco farmi un’idea ascoltando i miei due amori, Vinicio e Zeno, l’alba di un mondo migliore che presto sarà una cosa sola, in pace.
Matteo Bonfanti
Nella foto Vinicio e Zeno piccoli, già altamente adorabili