Rosso di capelli, notoriamente porta sfiga, che se il lunedì metto una squadra in prima pagina, la domenica dopo regolarmente prende un’imbarcata, ieri sera sono andato bello carico e concentrato al Blu Puro a tifare Atalanta, sapendo l’effetto contrario che faccio, certo di una roboante vittoria giallorossa, con mini crisetta degli uomini del Gasp. Voi direte: sei scemo, vattene da Bergamo e tieni lontano le tue gufate dal nostro squadrone. E vi capisco, del resto mai come ora Zapatone e compagni sono un’allegra macchina da guerra in grado di far sognare un’intera provincia, anche i tanti bergamaschi che prima del secondo Percassi erano milanisti, interisti e juventini, un popolo di ex, fulminati sulla via di Zingonia, che schiera alla testa del suo esercito persino il nostro sindaco, che di cognome fa Gori e da quel che c’è dato da sapere è passato da una blanda simpatia per i rossoneri a una convinta passione per i neroblu. Che poi un’Atalanta così forte fa bene a tutti, anche a noi, intendo al nostro giornale, perché gli inserzionisti hanno un cuore che spesso batte per la banda capitanata dal Papu. Se la formazione bergamasca inanella punti su punti regalando imprese impossibili da dimenticare, la pubblicità sulle pagine che ne raccontano le gesta, aumenta, perché tutti vogliono in qualche modo far parte di questo momento storico perché favoloso.
Al netto di queste considerazioni, resta che per noi giornalisti, stronzi per natura, una Dea tanto bella, che, a mio parere, se la gioca alla pari persino con la Juventus di Sarri, è un po’ una iattura, ci fa perdere la passione per il nostro lavoro, quello del cronista, esaltante quando una prima squadra va male e ci sono problemi in serie, da scoprire e da raccontare agli increduli lettori. Mi manca la gestione Ruggeri, che c’era quando ho passato l’Adda, con Ivan, che era un uomo dallo smisurato amore, che però incappava almeno in una sfiga incredibile l’anno. Cito, a memoria, senza un ordine preciso: i primi casini legati alle presunte scommesse vissuti da Doni, che era il giocatore simbolo; il caso Zampagna-Delneri, incredibile, ora che ne conosciamo i comici contorni; lo scandalo che travolse Colantuono per un flirt estivo con la Ribas; ottimi attaccanti, pagati miliardi e miliardi di lire, che appena varcavano il cancello di Zingonia diventavano tristi e inguardabili, Comandini, Saudati e Vugrinec, i tre famosi casi di imbrocchimento istantaneo; ragazzi dal passato glorioso ai margini nonostante ingaggi faraonici, Albertini, Rinaldi e Costinha; buoni allenatori che naufragavano, Conte, o che fallivano a un pelo da un obiettivo impensabile, Delio Rossi; una Curva pronta a contestare per mesi la dirigenza, regalandoci ogni maledetta domenica perle di creatività ultrà. E giù fiumi di inchiostro, con la redazione elettrizzata dallo scoop, dal retroscena che porta al commento acido e cattivo, fino al disfattismo, il massimo dei massimi per noi cronisti.
Diceva Enzo Biagi, il più grande della nostra categoria, citando Benedetto Croce, l’intellettuale più illuminante del Novecento in Italia, “ogni mattina il buon giornalista deve dare un dispiacere a qualcuno”. E noi nel ventennio ruggeriano l’abbiamo fatto, anche grazie a Ivan, che era sempre sopra le righe per via di un’onestà sconcertante, che lo portava a lottare a testa bassa contro i poteri forti negli anni più bui del pallone italico, quelli dove il padrone assoluto era Luciano Moggi, contro la Nord, contro tanti, dando poi un’assoluta libertà di parola ai giocatori, a cui ci bastava fare un colpo di telefono per avere il titolone in prima pagina.
Con Percassi tutto è cambiato. Intanto i risultati, mai una retrocessione né una stagione altalenante, col Gasp in sella, poi, abbiamo assistito a una crescita continua, a tratti esponenziale, che ha portato l’Atalanta stabilmente tra le quattro-cinque grandi italiane. Dirigenza infallibile, conti che brillano nonostante ogni anno aumentino i campioni a Bergamo, mister straordinario, calciatori in rosa che arrivano senza pretese e che in un battibaleno diventano fenomeni perché pronti a sputare sangue per il progetto, nulla lasciato al caso nell’ormai prioritario settore della comunicazione. Qui la polemica giornalistica è impossibile. Così ieri, preso dalla malinconia per il mio lavoro, ho lasciato i miei figli a casa da soli, immolandomi al Blu Puro per la nostra ormai annoiata categoria, mi sono pure armato di una sciarpetta nerazzurra unta e bisunta, trovata sulla mia Panda, un cimelio del 2004-2005, l’annata del Delio e di Makinwa, la più sfortunata della recente storia del club bergamasco. Mi sono concentrato, ho fatto tre o quattro riti scaramantici per portare sfiga ai nerazzurri, sognavo uno storico e irripetibile ko, una sconfitta per 5-0 a Roma in grado di aprire una crisetta che manca da tantissimo tempo. Ma con questa Atalanta pure il mio portare iella, spesso infallibile, non vale, De Roon e compagni sono troppo forti.
Mi consolerò stasera, pronto a tifare il Toro contro il mio Milan. Vi dirò, intanto mi coccolo la Dea, la nostra cagnetta redazionale, stupenda come questa inattaccabile Atalanta.
Matteo Bonfanti
FOTO DI EMANUELE GAMBINO