Come il Che senza calzini mentre parla ai grandi della Terra, come il viso di Pertini che passa alla televisione, come Gimondi che rincorre Merckx in una foto ormai ingiallita, come il piccolo Diego che scarta i giganti inglesi manco fossero birilli, come la prima vittoria di Valentino, come la prima canzone di Cesare, come mio nonno che sorride in mezzo al deserto, come la fatica quando diventa soddisfazione perché si è arrivati in cima alla montagna, come guardarsi negli occhi, come la mia mamma, come la prima volta che ti ho incontrata, così lunga, così intelligente, così celeste, così diversa, immaginando che una donna tanto bella un bacio a un bruttone come me non l’avrebbe dato mai.
Come recuperare un quattro a un mese dalla fine della scuola, come ogni volta che non ho ascoltato chi mi diceva che non ce l’avrei fatta, come questo giornale a dieci anni di distanza quando ci davano appena tre mesi di vita, come partire in ritardo e arrivare in anticipo, come l’allegria di non avere neppure un euro in tasca, come tutti i sogni che si realizzano, come l’amore, come la libertà, come la fantasia, come giocare una partita a scacchi col destino, come le margherite in primavera.
Come il sorriso del Gasp, come un colpo di testa di Zapata, come un tunnel del Papu, come una bordata di Malinovskyi quando nessuno se l’aspetta, come una corsa infinita di Gosens, come farne cinque al Milan, sette al Torino, sei al Brescia e quattro al Valencia.
Come ogni volta che nessuno scommetteva su di noi, come ogni volta che non ci siamo sentiti all’altezza della situazione, come ogni volta che siamo stati presi in giro, come ogni volta che li abbiamo fatti ricredere.
L’Atalanta è anche questo. E oggi siamo tutti atalantini.

Matteo Bonfanti