“Tranquillo io? I bluff non sono il mio forte”. By Stefano Colantuono, il profeta preso e gettato nel tritacarne di Forcolandia, capitolo Scommessopoli. Sulle prove e i riscontri oggettivi, mentre il popolino grida allo scandalo sull’onda della fuga di notizie che precede gli atti formali (deontologia portaci via), siamo in alto mare: “Devo ancora vedere le carte cogli avvocati, ma il grosso si sa. E non sta né in cielo né in terra”. Non male come preambolo a una domenica con le gambe sull’erba bucherellata e spelacchiata del vecchio “Comunale”, con i tacchetti interisti come nemici ma la testa fatalmente rivolta all’ufficio del pubblico ministero di Cremona. L’Atalanta è di fronte alla prova del nove. Il suo condottiero, invece, allo spartiacque mediatico-giudiziario della sua intera vicenda professionale: “Se dicessi di essere sereno barerei – sbuffa il Cola -. Questa notizia mi è piovuta addosso a ciel sereno. Non posso far altro che dimostrare la mia totale estraneità”. Già, ma il campo? “I ragazzi si sono allenati come sempre perché non glielo potevo certo far pesare. Certo, sono ormai cinque anni che ci siamo dentro per un motivo o per l’altro. Sono un dipendente dell’Atalanta e non posso permettermi il lusso di abbassare la guardia. Il dovere mi impone serietà e onestà: lo devo alla società, alla squadra e alla città. La testa non era sgombra nemmeno nella stagione del meno sei, figuriamoci stavolta che sono stato messo in mezzo. Il peso, se è per questo, ce l’ho anche sullo stomaco”. L’auto-arringa si chiude in un diapason di amarezza condito dall’acuto dell’orgoglio ferito: “Ho faticato a costruirmi un’immagine e una carriera, la cosa non poteva che turbarmi profondamente. Faccio presente che sono indagato e non condannato. Ho ricevuto attestati di stima da chi sa chi sono veramente e tanto mi basta. L’avviso di garanzia m’è stato mandato l’altro giorno alla Questura, devo ancora ritirarlo”. Intanto c’è da tastare il terreno di un percorso-salvezza pieno di trappoloni per chi rischia comunque di farsi distrarre da questioni extrasportive: “A Firenze abbiamo perso sul filo di lana per un episodio giocato sui centimetri. È un periodo sfortunato, ma il calcio va così. Dobbiamo sfoderare una prestazione maiuscola, altrimenti è difficile venire a capo di una squadra blasonata e fortissima come l’Inter”. Quanto a tattica e scelta delle pedine, la parola d’ordine è niente rivoluzioni: “La formazione dovrebbe ricalcare quella vista contro la Fiorentina: in quella circostanza è mancata la cattiveria necessaria per sfruttare spazi e occasioni, non certo la fase di costruzione”. 4-4-1-1 con Gomez sulla mancina e Maxi tra le linee, dunque, mentre l’ipotesi della formula pesante con Denis e Pinilla insieme sembra tramontare: “Del resto i titolari sono quelli. Masiello sta bene; dall’altra parte abbiamo tre terzini sinistri di cui uno solo sano (Del Grosso, NdR). Emanuelson sta crescendo e rientra nella categoria di quelli che avendo giocato poco o nulla nel girone d’andata non possono essere mandati allo sbaraglio. E poi mi metto a togliere i due esterni alti, reduci da un partitone?”. Come dire che il punto fermo è lo sprintoso Zappacosta, elevato a un rendimento da Nazionale da quando ha avanzato il raggio d’azione per l’effetto combinato dei crack di Estigarribia e Raimondi. Ma bisogna anche fare i conti con la Beneamata dell’implacabile Maurito Icardi, fuoriclasse del gol che funge da terminale a una banda di ottimi comprimari: “È una compagine che aveva un tecnico bravo prima e ne ha uno bravo adesso – chiosa l’allenatore nerazzurro -. È cambiata parte della rosa, ha potenzialità enormi e può legittimamente aspirare alle primissime posizioni. Mancini sta cercando la quadratura del cerchio, ma la vittoria netta col Palermo è stata una dimostrazione di forza”. S.F.