di Giacomo Mayer

Nella scorsa primavera c’eravamo ripromessi di festeggiare insieme, da qualche parte, i 70 anni. Emiliano Mondonico nato il 9 marzo e il sottoscritto l’8 marzo, classe di ferro 1947. Purtroppo non se ne fece niente perché proprio in quei giorni aveva subito un altro intervento per quel male che lo aveva colpito nell’autunno del 2011. L’ultima volta che ci siamo visti era il 4 febbraio quando era in tribuna stampa, postazione dietro quella del sottoscritto, per commentare Atalanta-Chievo per il programma di Raidue “Quelli che il calcio…”. In quell’occasione e anche in molte altre, da quando era diventato un opinionista arguto e senza peli sulla lingua era prodigo di suggerimenti tecnici e individuava sempre qualche spunto tattico che, poi, permetteva di scrivere, a chi lo ascoltava, un commento di qualità. Grazie a lui, ovviamente. E così quando capitava di incontrarlo anche nelle partite fuori Bergamo le sue osservazioni erano preziose e ovviamente azzeccate. Perché uno dei massimi pregi di Mondonico allenatore era quello di “leggere” ed “interpretare” la partita con un intuito finissimo e con le sue improvvise soluzioni tattiche cambiava il volto di una partita mandando sempre in crisi l’allenatore della squadra avversaria. Non solo questo ma soprattutto questo. Gli piaceva andare controcorrente. E ha cominciato presto. Era uno della generazione rock. Un sessantottino. Nel 1967 per assistere ad un concerto dei Rolling Stones, si fece espellere durante una partita della Cremonese. Il concerto era in programma l’8 aprile al Palalido, di sabato, e l’indomani avrebbe giocato a Mestre. Non poteva mancare alla performance di Mick Jagger e soci e quindi s’inventò il seguente stratagemma: insultare l’arbitro per farsi squalificare. Negli anni è anche diventato un fan di primordine dei Nomadi. Anticonformista anche sul campo. Il famoso gesto della sedia alzata contro l’arbitro jugoslavo Petrovic reo di non aver concesso un fallo di rigore ai danni di Cravero il 13 maggio 1992 nella partita di ritorno della finale di Coppa Uefa oppure i pugni chiusi rivolti verso la tribuna d’onore al gol di Gallo nella partita di Coppa Italia tra Atalanta e Juventus la sera del 25 ottobre 1995. “Era una sfida al potere” disse poi in conferenza stampa. Gli sono sempre piaciuti i giocatori “scapestrati” un po’ com’era quando giocava. Nelle sue squadre figurava sempre un fantasista non nel senso tattico ma quello tecnico, insomma uno coi piedini d’oro e infatti ha stretto un bel rapporto con Maradona. Chissà. Con noi giornalisti ha avuto sempre un rapporto di odio-amore che non ha mai dissimulato tant’ è vero che spesso, come si suole dire parlava a nuora perché suocera intendesse e tutti noi eravamo costretti a decriptare le sue dichiarazione mentre lui sorrideva sornione sotto i baffi. Oppure durante gli allenamenti a Zingonia quando ti faceva credere che avrebbe schierato un tipo di formazione e poi, puntualmente, ne scendeva in campo un’altra. Sono riuscito a ripescare un brano di un’ intervista realizzata, per la rubrica “Il pallone racconta” dell’Associazione Calciatori. Come schieriamo le sue squadre migliori? “4-4-2, forse, ma dipende dai giocatori che ho a disposizione. Praticavo anche il 3-4-3 e il 3-5-2, è legato alla mobilità degli attaccanti, per mettere in difficoltà gli avversari. I 90’ non sono mai la parte continua di quanto hai preparato in settimana, si può cambiare a prescindere e magari le sostituzioni servono a parare le difficoltà. Tutti devono essere in grado di svolgere le loro mansioni e andare oltre, dunque un difensore può fare il quarto centrocampista, al posto di un esterno, che è bene sappia fare anche l’interno”. Emiliano Mondonico è nato a Rivolta d’Adda, un paese poco cremonese, molto bergamasco e abbastanza milanese, come giocatore ha cominciato con la Cremonese, poi Torino, Monza, Atalanta e ancora Cremonese. Giocava da ala destra, piedi estrosi, talento sopraffino ma poca voglia di lottare, con la maglia granata lo aspettavano come l’erede di Gigi Meroni ma deluse. Tutt’altra storia come allenatore. A 31 anni partecipa al supercorso di Coverciano e comincia la sua carriera, manco a dirlo, alla Cremonese che salvò e portò in serie A. Una stagione al Como (1986-87) poi Franco Previtali lo chiamò a Bergamo con un solo principale obiettivo: riportare l’Atalanta in serie A. Non solo ma anche il capolavoro della Coppe delle Coppe fino alle semifinali con il Malines. Storia e leggenda per l’ Atalanta, per i giocatori, per tutti i bergamaschi. Poi l’avventura col Torino, un’altra sua amata, fino alla finale di Coppa Uefa, il ritorno a Bergamo richiamato da Ivan Ruggeri e di nuovo promozione in serie A, finisce nel ’98 con la sola retrocessione da lui patita. Ancora Torino per un altro girotondo. Altre avventura col Napoli, con il Cosenza, con la Fiorentina, sua squadra del cuore. E per non farsi mancare nulla: AlbinoLeffe, Cremonese e Novara. Ha anche allenato squadrette dell’oratorio, una squadra formata di ragazzi in fase di recupero della tossicodipendenza, un’altra di portatori di handicap. Non si è mai allontanato dalla “Brusada” la sua cascina di Rivolta d’Adda. Ciao mister, ti abbiamo voluto un Mondo di bene.