Che poi, Chiarina mia bella, a me certe cose le fa capire il mio Zeno, che tutti dicono mi somigli tanto. Ieri in cortile guardavamo la luna, mi è salito sulle spalle e mi ha parlato, all’orecchio per non farsi sentire da suo fratello, Vinicio, che era lì con noi: “Con te il nonno e la nonna sono stati bravi, che ti hanno fatto quando Chiara aveva già cinque anni. Così tra te e lei c’è solo quello, volersi tanto bene, che poi è sostenersi, proteggersi come fate voi due, anche da lontano. Mentre io e Vini siamo troppo vicini e finiamo ogni volta a menarci perché facciamo la gara”.
L’ho baciato, uguale a come mi baciavi tu sul lettone in via Boccaccio, ore e ore di stropicciamenti feroci e risate infinite, un momento che aspettavo già dal pomeriggio, sperando stessi arrivando dai tuoi giri in centro, a bordo del tuo Ciao.
E oggi compi gli anni, e non è il coronavirus, ma come ci hanno fatti, completamente in mezzo al lavoro, ai figli, agli aperitivi, al casino, rimandando il nostro giorno a tempi migliori, che sappiamo entrambi non arriveranno mai. Quest’anno manco a Pasqua, che io sto a Bergamo, tu a Lecco, e finirà che ci vedremo per Natale. E sarà stupendo come sempre, tutte le volte che appari a scompigliarmi i capelli, ad accarezzarmi il viso, dimenticandoti che sei una delle tre donne più belle del pianeta terra perché non ti interessa e neppure ne hai la voglia.
Come quando da ragazzi sei venuta a vedermi giocare a pallone, che vincevamo da cinque domeniche consecutive e abbiamo preso quattro pere dai penultimi, perché otto dei miei dieci compagni erano impegnati a tentare di incrociare il tuo sguardo.
Come con Richi, che poi è diventato tuo marito, il mio compagno di carte dell’epoca, acciaccato come me, due zoppi piantonati all’ospedale di Lecco. E venivate a trovarmi, tu la mattina e di pomeriggio la mia donna di allora, una cicciona ciccionissima con le tette grosse e perennemente sudate, che era primavera, ma pareva fosse sempre uscita dal concorso estivo miss maglietta bagnata. E Riccardo mi veniva addosso e mi diceva: “Come fai a non scegliere Chiara tra le due?”. E io per un po’ gli ho lasciato credere non fossi mia sorella, giusto per fare aumentare la stima nei miei confronti all’interno del reparto di ortopedia. Poi ho confessato e ancora state insieme. E mi chiamate in coppia, precisi come due svizzeri, il venerdì sera, e siete una delle cose più belle di questa sfiga che ci ha travolto, perché mi fate straridere, aggiornandomi sui nostri genitori, Marco e Valeria, quei due poeti scapigliati che tu già curavi la prima volta che ti ho vista, bimbina, quasi mezzo secolo fa, e ancora controlli con l’incredibile costanza che hai nella famiglia e nell’amore.
Che dirti che non sai, tu che conosci ogni parte di me? Che sei stata la mia mammina, sul Viale o a Poira a darmi la mano, e poi che avevo una paura fottuta che a Lecco stesse scoppiando la bomba atomica e tu mi prendevi in braccio e mi dicevi “non preoccuparti, non succede e poi nel caso ti difendo io”.
Eppure quando penso a te non è la tenerezza a prendermi il cuore, ma il ricordo delle risate che mi hai fatto fare. Come quando, in piena adolescenza, mi prendevi in giro che mi ammazzavo di seghe, raccontandomi che se la tua amica Cristiana avesse dormito sola nel mio letto, sicuro sarebbe rimasta incinta. Come ai Crotti, in Valtellina, a ridere senza riuscire a fermarci mentre un mio amico, Manzella, e una tua amica, di cui non so il nome, travolti dall’alcolica passione si rotolavano giù da una collinetta che sembrava stessero recitando in un episodio di “Quando si ama”. Come quando mi portavi a fare la lampada e tornavamo ustionati e al babbo raccontavamo che tutto quel sole l’avevamo preso al parco, primi di febbraio, giornata parecchio uggiosa. Come all’epoca dei furti, manco Bonnie e Clyde, “tu mettiti sul balcone e avvisa quando arriva la mamma, io rovisto nei cassetti”.
Va beh, la smetto, che sei una donna importante ed eravamo ragazzi ed era tanto tempo fa. Buon compleanno, ancora grazie della dolcezza, che se ne è accorto pure Zeno che mi vuoi tanto bene, ma pure grazie delle risate perché io con te mi sono anche un sacco divertito. Finisco di raccontarti a voce, venerdì, bacio figona.
Matteo Bonfanti