Penso che Cristiano Doni sia il primo vero idolo della mia infanzia, insieme a lui a tratti mi ricordo anche Ventola e Budan, ma quello che c’è stato con Cristiano non c’è mai stato con nessun’altro. Ogni volta che mi viene riproposto il suo nome non posso che portare alla memoria il suo numero di maglia, il 72 (poi il 27), numero iconico nella mia vita, siccome è l’anno di nascita di mio padre e il voto con cui sono uscito dalla maturità (ero il classico “è bravo ma non si applica”). Mio papà di giocatoroni ne ha visti tanti passare a Bergamo, ma ricordo che l’ammirazione che aveva e che ha tutt’oggi per Cristiano era speciale ed è anche probabilmente grazie a lui che oggi sono qui a scrivere tutto questo. Se penso a Doni mi viene in mente la sua esultanza, semper a crapa olta, come in quella canzone del Bepi, una qualità che lo ha sempre distinto, anche per questo per me rimarrà uno dei giocatori più forti visto nell’Atalanta, secondo solo all’irraggiungibile Josip Ilicic. Tanti gli episodi: quella volta che siamo retrocessi in Serie B, in quel periodo andavo tutte le sere alla festa della Dea, ero un bambino innocente e allora la Curva Nord tirava fuori tutto il suo repertorio, un coro in particolare mi rimase impresso quello che fa “nigher de chè…”, noi atalantini conosciamo tutti come continua, e ricordo che tornando in macchina con mio padre gli chiedessi cosa significasse cilum, ovviamente lui se ne è uscito con la classica “te lo dico quando sei più grande”. Comunque tolta questa piccola digressione, di quella festa della Dea, oltre ai cori della curva, mi rimasero impresse le parole di Cristiano che disse con voce stranita: “L’Atalanta in Serie B? Il Brescia in Serie A? L’anno prossimo vediamo di riportare tutto al suo posto”, di tutta risposta mio papà disse: “E’ un grande”. Sì, un grande, quello che ho sempre pensato di lui, perché nonostante ciò che è successo, Cristiano è sempre rimasto lì, tra i miei idoli calcistici e le persone che mi hanno fatto innamorare, gioire, piangere, urlare e pregare per questo sport. L’ultimo ricordo speciale che ho legato a lui è quello di un triangolare ad Alzano Lombardo, il mio paese, tra Atalanta, Albinoleffe e l’allora AlzanoCene, giocato allo stadio Carillo, a due passi da casa mia. Non ricordo precisamente il susseguirsi degli eventi, ma la cosa più chiara che ho in testa sono le foto scattate con Ferreira Pinto (altro idolo di cui conservo gelosamente quello scatto) e appunto con Cristiano. Ero paralizzato, mi ricordo che mio padre gli disse: “Sei il suo idolo”, Cristiano si avvicinò, mi sorrise e fece la foto con me, mi fece anche un autografo e poi andò dagli altri bambini. Fu un giorno memorabile per me, uno dei ricordi più vividi che ho di un’Atalanta che non sarà quella di adesso che ogni anno lotta per l’Europa, ma a suo modo divenne, almeno per me, indimenticabile. Cristiano rimarrà per sempre un idolo, perché è stato il primo supereroe di un bambino che ha fatto del calcio la sua passione più grande.
Matteo Beni