di Matteo Bonfanti
Buon Natale ai miei due fiori, Vinicio e Zeno, mentre giocano ai miei piedi trasformando tutto intorno: le mie gambe, soprattutto, alberi buoni per arrampicarsi fino al mio viso. Poi un bacio e di nuovo giù, stesi sul pavimento del salotto dei nonni, un prato di margherite che questa primavera non coglieremo perché l’anno passato ci siamo accorti che persino le rose preferiscono la terra al vaso. Buon Natale alla loro mamma, Costanza, che sta crescendo i miei due fiori, innaffiandoli ogni giorno con il suo amore, il solo che non si dovranno mai meritare. E’ gratuito, è per sempre e c’è sempre, anche alle tre di mattina: abbracciati alla loro Costi nel lettone, stretti stretti, dopo un sogno brutto e pure contagioso.
Buon Natale al mio splendido lavoro, il mestiere di scrivere, l’unico che mi permette di essere qui il giorno di Santo Stefano in una redazione deserta, lontano dal mondo per trovarne le parole, quelle che mi piacciono di più, quelle colorate. Dicono che il giornalismo abbia i giorni contati, ma io non ci credo perché è troppo bello raccontare. Non ci saranno più i quotidiani di carta, la mazzetta la mattina, le edizioni speciali, ma anche tra cent’anni ci sarà qualcuno che, come me, mentre i parenti sono a mangiare e a bere, avrà il bisogno di lasciare poche righe del suo momento, brutte o belle che siano, valgono tanto, sono una testimonianza.
Buon Natale al mio cronico ritardo sulla vita. Che faccio gli auguri oggi che è Santo Stefano, che festeggio i compleanni dei miei amici sparsi in Europa il mese dopo, che arrivo alle partite al ventesimo del primo tempo e all’aperitivo quando gli altri vanno a cena. Chiedo scusa a chi mi conosce perché conosco i miei limiti e so che non sono destinato a migliorare. Nel 2014 mi farò ancora aspettare, magari meno, mezzoretta, come con Marco, il mio migliore amico, che ha imparato a darmi orari che prevedono già la mia ora ballerina.
Buon Natale a chi soffre perché la fortuna gli ha voltato le spalle e a chi una buona stella non ce l’ha avuta mai: essere poveri dipende da quello. Ho visto le menti migliori della mia generazione sopravvivere male in uno schifoso buco di Barcellona o di Parigi o di Berlino; le peggiori guadagnare migliaia di euro al mese a Milano, eletti in consiglio regionale, assenteisti e leccaculi di professione. Vorrei che nel 2014 iniziassimo a costruire un’Italia nuova, dove non sono più i soldi accumulati sul conto corrente la pietra di paragone che divide le persone perbene dagli sfigati. Vorrei che questo limite lo tracciassero le idee. Che, ora, ci mancano.
Buon Natale a Bergamo, che amo. Ai suoi geniali calciatori dall’Eccellenza alla Terza categoria. Ai loro presidenti che aiutano il nostro giornale. Ai nostri sponsor, amici più che inserzionisti. Ai collaboratori di Bg & Sport di cui vado fiero perché sono bravi e straordinariamente appassionati e, da noi, di ragazzi così, non ne sono rimasti poi tanti.