Come se la vita fosse sempre una partita di pallone sullo 0-0 al 90’, vorrei che il 2020 regalasse a me e a chi amo un calcio di rigore per deciderla. Sulla traversa, che significherà che è il tempo di restare, oppure nell’angolino in basso a destra, col portiere beffato, che, quando accade, è andare senza paura verso la gloria, gli applausi di chi sta di fronte, la conquista, nuove emozioni sopite dal tempo che passa, spesso negandocele solo per farci del male.
Allora intanto io, Ulisse e Mangiafuoco, il burattinaio del circo che sono da sempre per via delle mie parole, carezze, ma pure pietre, sassi grossi e aguzzi, che fanno sanguinare i piedi nudi in riva al fiume. Non oggi, che le mie frasi ballano leggere, divertite al primo sole della mia splendida città, che ormai è Bergamo. Illuminato da questo pomeriggio, alzo gli occhi al cielo e vedo la scia di un aereo che preannuncia la mia notte, con le stelle tutte intorno e la luna di proprietà di mio figlio Zeno. Era piccolo e la stava a guardare per ore chiedendomi dalla finestra “babbo, cosa capita se è a fettine?”. E la mia risposta, caro Zen, è la stessa di allora, “c’è chi ti ama, che è bello perché non capita a chiunque, ma neppure è così facile perché è un castello di carta da costruire nei giorni, mettendolo al riparo dal vento, che a volte soffia così forte che neppure si può fermare”. E tu, amore mio, aspettami, che forse questa volta sto arrivando davvero da te, nel tuo porto, per ripararmi finalmente dalle onde del mare.
E in ordine d’importanza per me quest’anno ci sarà il calcio, l’undicesima stagione del mio decennio da direttore di un giornale di pallone. Marco ha appena messo in redazione una dozzina di nuove maglie, all’entrata quella blu del Leicester, accanto alla mia scrivania quella bianca e rossa del Southampton, poi lo Swansea, blanca e candida in stile Real Madrid. Venceremos? Dobbiamo, sulle strade del Cile come a Bologna o in piazza a Milano, nella mia Bergamo, schiacciati come sardine, ora e sempre è il momento di crederci. E pure in Serie A, che, dai, c’è l’Atalanta che ci racconta che ogni sogno è possibile, in fondo basta crederci. Anche cedendo un genio che di cognome fa Kulusevski e di nome Dejan, lo stesso di un fuoriclasse che la mia generazione ha amato alla follia. Non rammarichiamoci, tra poco a Zingonia ne scopriranno un altro che sarà ancora meglio.
Occorrono la speranza e la determinazione, ma serve soprattutto il sorriso, quello del Gasp ieri al sole del Monte Pora. Chi calcia il famoso rigore nei tempi di recupero, lo segna se ha quello, più ancora dei piedi buoni. Lo ha sbagliato Roberto Baggio, il Divin Codino, il migliore di tutti, sulla traversa perché in America, lontano da casa, sentiva la tristezza in fondo al cuore. Se saremo felici, la metteremo appena sotto l’incrocio, segnando e superando quel che resta del giorno, per festeggiare tutta la notte e pure il mattino dopo in un mondo, che grazie a noi, sarà migliore.
Matteo Bonfanti