Un trionfo che sa di liberazione. Maglia nerazzurra di ordinanza, la consueta ambizione suffragata dagli svariati tentativi promossi di anno in anno e, come a regalarsi un imprevisto utile a smuovere l’impasse, un organico ridotto ai minimi termini. Non sembrava certo questo il fatidico anno buono, con le assenze piovute a raffica e l’immancabile mannaia del Covid-19 a guastare un’edizione particolarmente sentita, tanto più dopo due anni di sospensione, in concomitanza con le ondate più buie e minacciose. Eppure, quando meno te l’aspetti, ecco la Bergamo degli Ingegneri salire sul tetto d’Italia, con un tour de force benedetto da quelle lotterie dei rigori che così bene rimarcano l’epicità di determinati scontri, a partire da quei dentro-fuori che raccontano fedelmente le fasi finali dei grandi tornei. Uno dopo l’altro, con la fase a eliminazione diretta di scena in quel di Rimini lo scorso fine settimana, ogni avversario è valso un’avventura. A lieto fine, finalmente, considerando le ben cinque finali costate infine ai bergamaschi un verdetto avverso. Dopo la fase eliminatoria di metà giugno, con gli orobici a imporsi nel gironcino comprendente Catanzaro, Venezia e L’Aquila, la formazione presieduta da Luigi Percassi ha regolato, negli ottavi di finale, Cagliari, guadagnando un posto tra le migliori otto d’Italia e dando ufficialmente il la alla bagarre più emozionante. Ai quarti, contro Napoli, accade l’imponderabile, con una partita raddrizzata all’ultimo respiro, per merito del guizzo di Davide Fustinoni, mentre i partenopei già pregustavano il passaggio del turno. Parità, allora, nei settanta minuti dedicati ai tempi regolamentari ed epilogo-thrilling sancito, dopo i tempi supplementari, dai calci di rigore, con Napoli che sbaglia il quinto e ultimo tentativo e gli uomini di Fabrizio Carminati, di contro, infallibili dal dischetto. Altro giro e altra contesa da vietare ai deboli di cuore. In semifinale, sono gli ultra-titolati capitolini a lasciare strada, sempre tramite lotteria dei rigori e sempre con una contesa tirata e vibrante fino all’ultimo. Roma, realtà egemone dall’alto dei titoli infilati nel 2017 e nel 2019, subito prima del biennio di sospensione determinato dalla pandemia, appare in difficoltà, andando sotto di due reti a metà ripresa. Poi, il gol che riapre i giochi e, nel recupero, la doccia gelata, con il gol romano che ripristina la parità, riaprendo le porte a supplementari e calci di rigore. Bergamo, a questo punto, oltre a poter contare su un Flaccadori in versione saracinesca, può realmente aspirare sul contributo della buona sorte, dopo anni scanditi da sogni infranti e maledizioni servite all’ultimo atto. Roma sbaglia subito, ripetendosi al quarto giro con un incrocio dei pali che grida vendetta. Bergamo, al contrario, si mantiene chirurgica e perfetta, facendo quattro su quattro e volando, per la sesta volta, in finale. Nella mattinata domenicale, l’avversario è rappresentato da Ancona, vincitore in semifinale su Perugia e oltre al caldo bisogna pure fare i conti con gli impegni così ravvicinati che così poco si addicono a una rosa numericamente ristretta e chiamata a fare di necessità virtù. Evidentemente, tira aria di grandi imprese. Attorno a mister Carminati e al diesse Luca Morstabilini la squadra si compatta gradualmente, trasformando ogni handicap in un valore aggiunto, da portare dalla propria grazie alle armi del collettivo e della più totale unione d’intenti. Così, poco importa se, lasciata alle spalle la magica notte delle semifinali, nemmeno dodici ore più tardi si torna nuovamente in campo per la finalissima. Caldo e posta in palio si fanno sentire, ne esce una partita più tattica che spregiudicata, dalla quale scaturisce il verdetto più logico e scontato. Parità, tra tempi regolamentari e supplementari. Si va, per la terza volta consecutiva, alla lotteria dei rigori e l’ambizione di Bergamo, questa volta, deflagra. Flaccadori si distingue e si ripete, in occasione dei primi due tentativi apportati dai marchigiani, guadagnandosi i crismi del match winner. Al resto ci pensano gli infallibili tiratori e, come già accaduto in semifinale, è ancora quattro su quattro, per un successo che vale l’apoteosi. Dopo cinque malaugurate edizioni infrantesi, sul più bello, sulla finalissima, Bergamo vince finalmente il Campionato Italiano di calcio Ingegneri, ponendo fine a un digiuno protrattosi per 18 lunghi anni. Correva l’anno 2004 e fu l’edizione casalinga a imporre che, in qualche modo, ci fosse una selezione, vestita rigorosamente di nerazzurro, a rappresentare l’Ordine provinciale. A suon di tentativi, vissuti nel segno della graduale crescita e della graduale presa di consapevolezza, il capolavoro è oggi finalmente cosa fatta. Il merito va dunque equamente distribuito, chiamando in causa tanto l’organigramma, ripartito tra il presidente Luigi Percassi, il responsabile tecnico Fabrizio Carminati, il direttore sportivo Luca Morstabilini, e una rosa di successo, agli ordini di capitan Matteo Pezzotta, così composta: Alberto Beltrami, Alfio Bisighini, Simone Bonacina, Fabio Cartolano, Marco Caseri, Matteo De Feudis, Loris Doneda, Mattia Giovanni Facheris, Angelo Ferrari, Walter Flaccadori, Davide Fustinoni, Filippo Giorgi, Michele Giorgio, Fabio Locatelli, Sergio Maestroni, Claudio Remondini, Simone Rondi, Nicola Rotini.
Nik