di Simone Fornoni
Ripetiamocelo tutti in coro: l’Atalanta non è stata costruita per l’ottavo posto e quella attuale non può essere la sua dimensione reale. Al netto della campagna acquisti, interlocutoria e astuta per il 3+22 del prestito milanista De Ketelaere e faraonica nei 60 milioni e oltre investiti per il duo d’attacco Scamacca-Touré visto finora solo a metà, col romano comunque spesso ai box (8 saltate) e il mai presente maliano oggetto del tira e molla con la sua Nazionale per la Coppa d’Africa, l’organico è decisamente da lotta per un posto al sole nelle competizioni Uefa. Oggi come oggi, invece, tra l’Europa League dagli ottavi raggiunti in anticipo e la zona Champions riavvicinabile solo battendo e sorpassando il Bologna (ora a +5, 31 a 26; la vittoria sarebbe valsa il quinto posto a -1 dalla Fiorentina) nello scontro diretto che non ti saresti mai aspettato a bocce ferme, perso per la doppia amnesia Carnesecchi-Scalvini sull’ultima palla inattiva contro, si vive di discontinuità soprattutto di risultati, turnover a pacchi per il logorio del nucleo storico, insoddisfazione serpeggiante e tensioni da ritorno di fiamma tra Gian Piero Gasperini e parte dei mass media.
Di fronte alle solite domande sugli obiettivi, trite e ritrite finché si vuole ma pur sempre a tema, perché se si perdono per un motivo o per l’altro tutti gli scontri diretti qualcosa di sicuro non va, l’allenatore usa il sarcasmo come autodifesa. “Vogliamo andare in Champions: se centriamo la qualificazione in Europa League è una buona stagione, al di sotto è brutta”, le sue parole tra il serio e il faceto nel dopogara al “Dall’Ara”. Intendiamoci, non ci crede nemmeno lui. Se non dovesse essere centrata nemmeno la qualificazione in Conference League sarebbe un fallimento. Il mancato arrivo di Alessandro Buongiorno dal Torino nella finestra estiva non può reggere a lungo come alibi. Primo, perché il riciclato Berat Djimsiti è inappuntabile. Secondo, perché a perdersi le marcature, dalle preventive ovvero quelle in fase di possesso fino a quelle da palla ferma, è sempre qualcun altro.
Detto delle cronicità negli infortuni dei classe ’90 Toloi e Palomino, che non offrono più garanzie, bisogna per forza mettere mano al portafogli a gennaio. Dal grande acquario del mercato di riparazione si attende uno tra Matte Smets e Radu Dragusin, che nel Sint-Truiden (Belgio) e nel Genoa rispettivamente fungono da centrale a tre e da braccetto, o forse tutti e due. Ma un 2004 e un 2002, per quanto non è certo un novizio il secondo, il rumeno già con esperienza alla Juve, alla Samp e alla Salernitana, sono proprio adatti e pronti a essere gettati nella mischia per liberare dalle incombenze da leone in gabbia il Giorgio Scalvini di turno, certamente più a suo agio nell’impostare che da cerbero, nonché utilizzabile in mezzo al campo? E davanti, recuperato El Bilal, rottosi praticamente subito ad agosto, saranno mai trovati equilibri e gerarchie tra CDK, Lookman, Muriel, Scamacca e Miranchuk? Kolasinac, Koopmeiners e De Roon non si staranno sfiancando per il superlavoro? Adopo e Bakker sono davvero le riserve delle riserve, visto che Mario Pasalic ormai fa il mediano e lassù ci torna solo quando gli altri non cavano un ragno dal buco?
Tante domande, troppi interrogativi. Forse andavano posti e risolti in sede di calciomercato estivo, in fase di costruzione della squadra, anche perché l’amalgama tra vecchio e nuovo non è scontato che produca otturazioni per tutte le carie. Se non siamo al dente che balla, la gengiva è quantomeno infiammata. Via Demiral, Maehle, Boga, Hojlund e Latte Lath per 140 milioni di entrate circa, possibile che non ci fosse un centrale a tre disponibile, corteggiabile e raggiungibile? E l’allampanato mancino belga, paragonato a Josip Ilicic, riuscirà mai a tenere la luce stabilmente accesa o è una scommessa persa ad alti livelli e pure a livelli di provinciale-outsider? Il cantiere è una presenza costante nella vita dei bergamaschi, basta attraversare la città per sincerarsene. Il simbolo di una società in costante evoluzione, dove chi si ferma è perduto. Nel calcio è lo stesso, solo che di tempo ce n’è un po’ meno. E in attesa che finisca quello dello stadio con la consegna della nuova Curva Sud, parcheggio ipogeo permettendo, è il cantiere Atalanta a destare qualche dubbio e a riservare al cittadino-lavoratore-tifoso i crucci supplementari del caso. Sognare non è vietato mai, ma se non si tengono i piedi sul ponte e la barra diritta, c’è la nave dell’intero progetto a rischio d’imbarcare acqua.