di Matteo Bonfanti

Auguri a Valeria, perfetta madre imperfetta, confuso e felice quando penso a lei, ogni volta nel dono più grande che mi ha dato, quello di essere perennemente e tranquillamente in ritardo, oggi di appena due giorni, che la festa della mamma era domenica. Scrivo e lo devo a lei, Vale, che da piccolo mi ha regalato un quaderno giallo per tenermi compagnia quando doveva andare a scuola, ai corsi d’aggiornamento, agli interminabili consigli di classe, immaginati sempre grigi e cupi, chissà con quale diritto. E’ stato un attimo, la mia prima frase libera scelta tra cento pensieri e non ho mai  più avuto freddo. A scaldarmi si sono messe le parole, lo fanno ancora, quattro mi insegnano ad amare, altre mille stanno lì, sospese tra l’universo e il cuore abbracciano tutti i miei dubbi, altri piccoli tesori ereditati dalla mia prima cosa bella. Da Valeria il mio lavoro, il giornalista sportivo, il sabato mattina, nell’anno della quinta elementare, lei a pulire casa, io a giocare col Subbuteo, ore e ore a raccontare Milan-Inter, Gullit e Van Basten contro Rumenigge e Matthaus, rossoneri in gol con Virdis su passaggio filtrante di uno scatenato Maldini, pari nerazzurro di Berti, il mio idolo, il numero otto, quello che mena gli avversari, uno a cui somiglio molto quando sono a lottare su un campo di calcio. Grazie a Valeria che senza volerlo mi ha regalato la solitudine, che spesso è bellissima, è una chitarra che suona canzoni a manovella, ma capita pure che sia un cagnaccio, di quelli cattivi, che mordono le gambe e l’anima. E quando è così, insopportabile e crudele, c’è un solo metodo per mandarla a cuccia ed è la gente, la meraviglia del mondo.  Di Valeria il sorriso che nasconde le lacrime, l’incondizionata fiducia verso gli altri, la misericordia, la generosità, la convinzione che domani andrà meglio. E la vita, soprattutto, che è bella anche ora che non c’è una cosa che va.

Nella foto io e mia mamma, quando ero piccino picciò