Bergamo

– D’accordo, dover brindare davanti al Presepe con un 4-1 infiocchettato ben benino non è il massimo. Per allontanare il calice amaro dell’illusione sepolta sotto il permafrost di un gap tecnico da brivido freddo, ecco due pallidi motivi per sforzarsi di ritrovare il sorriso. Buffon, nona sinfonia di fila o no, il record d’imbattibilità se lo scorda: coi suoi 745 minuti, resta alla larga anche dai 757 di Pinato. E, giocando come nei primi quarantacinque nel Christmas Match con la capolista, il novanta per cento delle squadre di A finirebbe nel tritacarne dell’Atalanta senza problemi. Purtroppo Babbo Natale non ha voluto saperne di vestirsi di nerazzurro e in quel benedetto camino non ha messo neppure piede. Alla fuliggine del sedicesimo rendez-vous perso con madama Juventus sugli ultimi diciotto, s’è aggiunta la complicazione della perdita di un punticino nella dote che tiene la zona pericolo a distanza di sicurezza: il Sassuolo, terzultimo, è sotto solo di quattro. Roba che all’Epifania, nella tana del Milan, ripetere l’exploit dell’anno scorso diventa quasi un obbligo per non doversi guardare le spalle fino alla paranoia.
Quel che rimane sotto l’albero, dunque, è il racconto di una speranziella spentasi troppo presto per tenere al caldo il sogno di Davide di sgambettare Golia. Condito da quel quid da strapaese che non guasta: le maglie edizione Christmas Match, un occhio all’estetica e l’altro al merchandising del perfetto curvaiolo. Un rosso sgargiante simile al kit casalingo dell’Oratorio Fiorente Grassobbio. Peccato che di prima categoria, ahinoi in senso buono, ci siano solo gli illustri dirimpettai. Che pensavano di vincere facile, visto il giropalla lussureggiante quanto gigione prima di esplodere la gragnola di giochi pirotecnici. Dimentichi, nel loro snobismo da capitale subalpina del pallone, del distico di Giacinto Gambirasio, aedo di un popolo dalla scorza dura peggio del marmo: “Carater de la rassa bergamasca: fiama de rar, sota la sender brasca”. E che sotto la cenere covino le braci lo dimostrano, finché c’è benzina, gli alfieri del football ruspante che alligna ai piedi delle Prealpi Orobie. Poco disposti a farsi rigirare sul barbecue da gourmant dal palato fine che si sarebbero aspettati di tutto, tranne che di dover provare a cucinarli a fuoco lento. E così, per un Raimondi che duella con Asamoah concedendosi il vezzo di qualche sovrapposizione, c’è un Bonaventura pronto a calare sul tavolo da gioco il Jack dell’assist dalla linea di fondo per il pari del Frasquito, trionfatore inatteso del derby argentino degli apodos che al colpo battuto dall’Apache avrebbe preteso la risposta del Tanque. Ma il capitano, complice i rovesci al rientro dal tunnel, è costretto al digiuno per sé e per i compagni, cui aveva promesso una cena pagata in caso di fuoco e fiamme nella porta del Gigi nazionale.
Al catino festante del “Comunale”, termometro degli umori genuini di una terra che si arrende solo al fatto compiuto, forse non era sembrato vero il verdetto del tabellone alle quattro e un quarto del pomeriggio. Pur sotto l’acqua i ventimila si sono avvampati a lungo, grazie alle gesta da manovali dell’attrezzo di cuoio del 4-4-1-1 a corsie chiuse a doppia mandata, della serie malta e cazzuola profuse a pieni tacchetti. Poi, pluff, la chimera dolce come il panettone evapora tramutandosi in fiele. Inutile prendersela con il tempismo al contrario di una retroguardia rabberciata, o con le amnesie nel fondamentale dell’anticipo di mastini riciclati come Migliaccio e Cazzola. La Juve, coi padiglioni auricolari assediati dalla notizia che a Roma non si molla di un centimetro, ha tradotto in campo la fretta maledetta di chiudere la pratica. Alla velocità del suono, lo stordente affondo di Pogba per il nuovo vantaggio sulla geometrica proiezione ortogonale Asamoah-Llorente (ma Carmona cicca il rinvio) si staglia all’orizzonte di un copione all’insegna della qualità totale opposta a barricate e saltuari arrembaggi. La virata del Cola al 3-4-1-2 non ha il potere di riscriverlo. I titoli di coda di Llorente, imbeccato da Chiellini, e Vidal, pescato per il tap in da Lichtsteiner, cuciono mezzo scudetto sulle maglie bianconere. Per la Dea il film del campionato non è neppure a metà: sta alla regia, ora, dosare i ciak e le inquadrature per scongiurare un finale da horror.
Simone Fornoni