di Simone Fornoni

Diamanti dà la sveglia, poi ci pensa madama la traversa a porgere a Borriello il matchball della salvezza. In un sonnolento pomeriggio domenicale, un paio di lampi a ciel sereno nel match iper-balneare con il Chievo ed ecco archiviata la quinta pratica che conta di fila. Grazie alla cordiale intesa fra i due pezzi più grossi del calciomercato invernale, gente di talento ma con chilometraggio da fumo nero dagli scarichi alle spalle e soprattutto nessuna certezza di rimanere a far parte di un progetto tecnico o presunto tale. Sono le classiche contraddizioni dell’ennesima annata da montagne russe dell’Atalanta, che a ogni giro di corsa si presenta ai blocchi di partenza con la tiritera dei giovani da valorizzare e in fin dei Conti (ocio alla maiuscola) preferisce tenerli in ghiaccio per affidarsi alla beneamata formula dell’usato sicuro. Trentaquattro e trentatré, giusto per dare i numeri: le candeline sulla torta dei festeggiamenti per essersi parato il culetto e aver segato le orecchie alle residue ambizioni da sesto posto dei Mussi. Gli anni che gravano sul motore dei summenzionati, rombante a sufficienza per l’ultimissimo sprint. Troppi per non rappresentare un’incognita su un futuro dai contorni sfumatissimi, a cominciare dal nome di chi appoggerà le terga sulla panchina che scotta.
Alino il pratese, Marchino il napoletano bel tenebroso e stratatuato. La coppia di mancini che ha ridato verve a un collettivo spento, rivitalizzando anche se stessa sulle ali della strategia riveduta e corretta dal comandante in capo. Edy Reja e il 4-2-3-1, altro matrimonio ben riuscito. Quattro volte in campo così, tre vittorie (con Bologna e Milan le precedenti) e solo il ko di Torino. La tattica degli equilibri ritrovati,  che ha consentito di sgravare dalle spalle strettine del Papu Gomez ogni onere dopo il doloroso addio a Maxi Moralez. E di coprire la magagna infinita del centrattacco, tra l’altro abbandono cavasangue di Denis e i ghiribizzi di un Pinilla più incostante (e rotto) che estroso. L’ex fidanza di Belen col 22 sulla schiena svaria, è l’antitesi della prima punta statica: va a raccattare palloni anche a centrocampo o sull’out, non disdegna rientri e duetti. E ha perso sette chili in tre mesi, come ha rivelato proprio lui in occasione della doppietta da urlo alla Roma. Quanto al gioiello più scintillante della parure, gamba e fiato sono quelli che sono, la tecnica e la visione di gioco invece talmente avanti rispetto al resto della truppa che anche il Vecio in panchina, dopo quattordici digiuni di fila, ha capito che fare a meno dell’amatodiato tridente sarebbe stato utile alla causa. Quando il tuo capocannoniere è un’aletta sinistra alta un soldo di cacio e nella casellina dei marcatori è al settebello a tre giornate dalla fine, ci sono pochi calcoli da fare. E la soluzione a tutti i mali è distribuire lo sforzo in parti più o meno equanimi, reparto per reparto. Ovvero l’incontrismo di de Roon a protezione delle geometrie di un Cigarini dal passo stracco a dispetto del piede rotondissimo, e davanti l’aggiunta di Kurtic sulla trequarti destra per garantire più copertura in fase di non possesso. I segreti di Pulcinella. Ah, ce ne sarebbe un altro, da cacciare in fondo al pezzullo per mera scaramanzia: in caso di arrivo a tre con Udinese (che dovrebbe salire a Bergamo a vincere) e Palermo, con Bologna, Samp e Carpi ad arrivare più avanti, quota 41 (bisognerebbe perderle tutte) non sarebbe mica sufficiente per rimanere a galla. Ma sono calcoli astrusi, meglio non berciarli nel megafono andando in giro per Bergamo col carretto dell’arrotino. Che la festa cominci, magari aggiungendoci i fuochi d’artificio a Fuorigrotta lunedì 2 maggio. Sai mai.