paloschikessiedi Simone Fornoni

Sette e mezzo di cartellino, uno e rotti a giro di corsa per il prossimo quinquennio. L’investimento, in termini di soldoni e marketing, è il più dispendioso e impegnativo della Seconda Era percassiana. La fretta e la sublime maestria del Cobra Sartori nell’incantarlo sottraendolo alle spire soffocanti di uno Swansea mai gradito né digerito, la presentazione all’Atalanta Store in pompa magna, le fan scatenatissime a far da cartolina al volto fotogenico da attore single, il primissimo acquisto di un calciomercato che poi non avrebbe comunque rispettato le attese. Alberto Paloschi da Cividate al Piano, ventisei anni e l’amore calcistico di tutta una vita abbracciato da pochi mesi, dal suo arrivo a oggi ne ha messi sei, ma solo tra i test in ritiro e l’amichevole col Como nella pausa. In coppa e in campionato, al contrario, tanto movimento ma poca lucidità sotto porta, fermo com’è, il Palo, al montante colto all’esordio atalantino in serie A contro la Lazio. E nella Genova blucerchiata la ragion di stato gli ha imposto di cedere il campo a Konko per gestire meglio l’inferiorità numerica. Sacrificio vano e muso.
Il valore aggiunto in termini di bergamaschità, quella spontanea e aperta, un must della Bassa orientale, non si sta traducendo al dunque in risultati apprezzabili, complice una strategia a detta di molti poco confacente alle caratteristiche di un centravanti che di sfondamento non è mai stato e storicamente rende in presenza di una punta mobile e al contempo fisica. Non è una frase buttata lì, vedi duetto nel Chievo con Thereau, non a caso inseguito fino all’ultimo tuffo allo Star Hotel da una dirigenza costretta infine a ripiegare sullo stangone serbo Aleksandar Pesic: è col francese nella particina di spalla che il ragazzo di campagna dalla chioma e dalla barbetta da divo ha reso di più, agguantando il suo massimo storico della quindicina a stagione (tredici in campionato) nel 2013/2014, senza mai più andare da allora in doppia cifra. Dei sessantanove palloni schiaffati in rete nella carriera da giocatore di club, ben ventotto risalgono al triennio felix in tandem col perticone trasferitosi a Udine.
Ora, smessi i panni delle felici abitudini che gli sorridevano sempre, c’è un cambiamento epocale da gestire, di quelli che provocano crisi di rigetto nell’intero collettivo. Dal 3-4-3 preferenziale del precampionato con D’Alessandro e il Papu Gomez ai fianchi alla virata al 3-5-2 con il funambolo bonaerense a girargli intorno, il passaggio non è stato privo di traumi. Prima, sfere magiche a grappoli, equamente suddivise tra i partner di linea e quel rettangolo di metri sette e trentadue (Valseriana, Giana, tripletta da remuntada al Lumezzane in quel di Clusone). Adesso, nel drastico ritorno alla realtà che conta, qualche uno-due, partecipazione al pressing alto e tagli in area da cacciatore di gol, senza però il conforto del sacco gonfiato al suo cospetto. Attenzione, nessuno osi parlare di d’involuzione personale: ogni rivoluzione che si rispetti richiede il suo tributo di sangue, e la ninfetta del Gasp finora ha pagato il fio di un equilibrio tattico molto al di là dall’essere una conquista. Anzi, è un traguardo che dovranno tagliare tutti i compagni. Lui in primis, da trascinatore, perché è il dopo Denis a richiederlo, tra i mugugni di Pinilla che si sente sacrificato e la voglia matta ma acerba del carrarmato Petagna. Al Palo tocca uscire dal guscio da solo. E, per ricordarsi della grandeur che gli scorre nelle vene, dimenticarsi di essere stato scelto con la prospettiva di ritrovare come mentore il musso Rolando Maran. Ripercorrendo col filo della memoria il passato di ragazzino in cui era stato capace di infilarla al Siena alla prima palla giocabile, dopo diciotto secondi dal suo ingresso al posto di Serginho, al minuto diciotto della ripresa, a diciott’anni compiuti il mese precedente. Non male, per un predestinato – parola di Carletto Ancelotti – che gioca da nove puro col quarantatré sulle spalle inseguendo il sogno di emulare il mito SuperPippo Inzaghi. Da uno così, la Bergamo che ama il calcio alla follia non può che aspettarsi grandi numeri.