di Simone Fornoni
Ma quali gerarchie, ma quale finta umiltà. In certi momenti contano le sensazioni che vibrano nel sottopelle e la capacità innata di essere leader. Poco importa se Paloschi rimane con un palmo di naso, incazzato come una biscia travolta dalla secca o dalla piena del torrente, o Gomez esibisce la faccia di chi in carriera non ne aveva viste di più losche. Il rigore lo tiro io, deve aver detto a muso duro Franck Kessié, a otto dal novantesimo, col Papu a servire sul piattino all’Atalanta la chance del riscatto.
E bottino pieno fu. Il Toro, matato e scornatissimo. Anche se, al netto di inserimenti, corse e suggerimenti a perdifiato, l’ivoriano non ancora scollinato alle venti candeline non ha sfornato di suo chissà quali babbà per addolcire a squadra e mister la pillolona amarissima dell’incipit di campionato da perdenti. Anzi, un paio di gol li aveva pure cannati, l’ultimo nel recupero del primo tempo, Hart e la misura nel calciare la palla come nemici irriducibili. Di meriti, sul terreno scivoloso dei fatti, non può rivendicarne davvero granché, il bad boy che non s’è risparmiato i mugugni dei compagni oltre alla tiratona d’orecchi del Gasp per il suo narcisismo egocentrico, da egoista declinato alla prima persona singolare indeclinabile. La remuntada porta la firma di Masiello e la sua, e pazienza se la funzione equilibratrice di Freuler, preciso come un orologio a pendolo svizzero, e le magate estemporanee del Papu hanno influito nell’economia della partita più della personalità debordante del tipetto. Eppure quest’ultima è stata la chiave di tutto, il grimaldello per scardinare sfighe e rovesci, il passe-partout per spalancare il portone della rivincita a un popolo pallonaro annichilito dalla depressione.
Perché? Semplice. Perché in un ambiente che ostenta un vivaio rispettoso della consegna di crescere brave persone ancor prima di assi coi tacchetti ai piedi, tanto che a forza di fare i bravi ragazzi i virgulti di Zingonia vengono spediti a sbocciare nelle serre altrui, uno con una grinta, una cattiveria e un’arroganza del genere non si vedeva da una vita. Roba da sferzata totale a un collettivo volenteroso ma smunto, con quel quid da sangue agli occhi che manca ad alcuni vicini di spogliatoio scesi in campo mollicci. Al carattere non si possono sempre mettere le briglie, specie quando serve per imprimere la svolta nelle fasi stracche: Kessié, nel suo istinto da animale da football poco disposto a compromessi, l’ha capito e ha scelto di trasfondere la sua mentalità da velocità tripla ai compagni. Volenti o nolenti. Loro, alla fin fine, mica hanno tentato di strapparglielo di mano quel maledetto pallone. Che lui ha benedetto nell’angolino spiazzante, mostrando alla gente con la sua stessa maglia addosso, al pubblico e all’universo mondo di che pasta è fatto un campione. Grano duro, durissimo, a prova di dentista e di perbenista di turno, ma destinato a non scuocere mai, perché baciato in fronte da una combinazione ponderata fra un ego da autorità assoluta e un io che conosce sia la sua forza sia i suoi limiti.
Difficile dire se e quanti ne abbia, Franck dalla Costa d’Avorio, che non è Pogba né pretende di esserlo, benché come interno bifase abbia gamba, polmoni e visione di gioco da superstar, più l’orizzonte della vittoria impresso a caratteri indelebili nelle pupille, d’ebano e larghe come le sue fasce muscolari potenti e flessuose. E con questo fanno quattro gol in tre partite, mica bruscolini. Nello sport più bello del pianeta ci vuole la voglia matta di sfondare e tanta, tantissima autostima. Non può fare difetto, come non può fare difetto tutto il resto, a uno che dal suo arrivo in nerazzurro a oggi, da quel gennaio 2015 in cui aveva iniziato da centrale difensivo sinistro nella Primavera del Cina all’hic e al nunc da protagonista, passando dall’annata formativa in B a Cesena, è riuscito a imporsi perfino come cannoniere scelto. Più che altro da se stesso. Come quel penalty, aggredito col piglio onnivoro di chi può aprire un nuovo ciclo nerazzurro prima di trasformarsi nella solita plusvalenza su due gambe.