Dai corridoi di Zingonia al tempio sacro del “Comunale” ci sono un 2 e un 9, maturi pesi massimi dei due reparti cruciali, che in settimana hanno sognato l’impossibile, ovvero una maglia dal primo minuto nell’impegno più impestato della stagione. Fuori uno: “Finalmente ho coronato il mio sogno professionale, il mio sbocco per il dopo calcio. Adesso il mio tempo è tutto per l’Atalanta”. Guglielmo Stendardo, l’Avvocato non solo di soprannome, ha appena strappato l’abilitazione e fa un timidissimo pensierino – “Io sono disponibile al cento per cento” – a un rientro da ex di turno, dopo essere sparito tra le riserve e lo stanzone degli orali della Corte d’Appello di Salerno. “La Juve? L’avversario più difficile che poteva capitarci in conclusione del tour de force. Recuperare in tre giorni è dura”. Il palese e lo scontato, by Rolando Bianchi detto Rolly, prima di sganciare il proclama che tanto assomiglia a quello del suo opposto tricologico in giacca e cravatta che sbraita dalla tolda di comando: “Però ci proviamo anche stavolta, visto che quando dobbiamo scendere in campo ci tocca pensare alla vittoria. Sennò mica si va lontano…”.
La voglia matta di esserci, insomma, giocata sui destini paralleli di due panchinari quasi sicuri, nonché mancati compagni di squadra – a gennaio 2008 il bergamasco rientrava dal City, mentre il napoletano trasmigrava proprio alla Juve – ai tempi dell’Aquila biancoceleste. Ma se Willy filosofeggia (“Noi calciatori siamo dei privilegiati, ma è importante raggiungere tutti gli obiettivi nella vita”), l’orobico dal cognome più scontato della Terra sembra scalpitare: “Anche nell’infrasettimanale la partita l’abbiamo fatta noi, risultando più convincenti degli avversari sotto il profilo del gioco: è innegabile che abbiamo mantenuto il possesso palla. Non possiamo attaccarci solo a quello, perché è negli ultimi metri che si decidono le partite: ed è lì che io e gli altri dobbiamo migliorare”. Tradotto in parole povere: altro che turnover, io voglio calpestare l’erba all’ombra della Maresana anche sabato sera e infilare quella palla nel sacco. Sarà che aver fatto da boa nella tana dell’Inter deve averlo convinto che l’anti-Denis è lui: “L’importante, a un certo punto, è tirare in porta e metterla”. Compito fin qui assolto solo da Estigarribia e Boakye a Cagliari. O sarà che l’ex bandiera torinista annusa l’aria del derby, un po’ rarefatta per via del suo recente sbolognamento sulla via Emilia, tappa intermedia per riabbracciare il primo amore. Ma sa che a meno di sorprese dovrà rientrare nei ranghi, perché i cambi nella triste notte di San Siro indicherebbero un ritorno a due davanti con Boakye-Denis. E all’attaccante di Albano Sant’Alessandro è riservata la particina del guastatore in corso d’opera.
Del resto, a differenza del Tanque, perennemente a secco coi bianconeri (il punto dal dischetto nel quarto di coppa del 4 febbraio 2009, perso 4-3 ai rigori dal Napoli, non conta ai fini statistici) lui – che ha scelto il numero classico del centravanti, tanto per ribadire di essere il tassello che mancava all’Atalanta argentinocentrica – con Madama è stato indelicato due volte in carriera, anche se in modo indolore: l’unico acuto in nerazzurro (il primo da professionista) nel 2-1 della Dea nel ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia il 17 gennaio 2002 (l’altro fu di Pià; ko per 4-2 all’andata) e il primo dei due gol con cui la Lazio, il 27 marzo 2008, limitò il passivo a Torino (5-2) contro la neopromossa a strisce, reduce dalla punizione cadetta per Moggiopoli. Non che Stendardo, altro pupillo di Colantuono – Rolly l’ebbe al Toro in B, il mastino difensivo era stato suo scudiero a Catania e Perugia – per l’Atalanta e per Lotito & Co. si sia mai risparmiato, anzi: con i colori di Bergamo ha segnato quattro volte; per i capitolini, sette palloni messi in porta contro i soli quattro dell’attuale vicino di spogliatoio, che però da quelle parti trascorse una sola stagione contro le quasi cinque del difensore più fashion della serie A. Ma contro la capolista che rincorre il quarto tricolore di fila, esserci equivarrebbe già a un gol: “Sono reduce da uno dei giorni più belli della mia vita – chiudiamola con il neo avvocato difensore -; tra quanti si sono complimentati con me al telefono, oltre a Marino e Percassi, c’è anche Rolando. Come diceva Eduardo, però, gli esami non finiscono mai…”. Sempre che il professor Colantuono ammetta i due in aula, in occasione del test più simile alla mission impossible che ci sia. Simone Fornoni