Anche lontana, riesci sempre a starmi vicina. Così, di questo tempo sospeso, che non ha mai mani da stringere né braccia da abbracciare, più di tutto mi resteranno le nostre parole al telefono. Mi chiami ogni giorno, mi mandi i tuoi messaggi, mi leggi le tue poesie, mi racconti l’allegria del tuo giardino appena fiorito. Appena alzata, mi parli dei tuoi incubi, quelli che non ti fanno dormire. Mi dici: “Matteo, ti ho sognato, venivano a prenderti per quella cosa brutta brutta che hai scritto ieri sul governo. Pensa ai tuoi bambini, smettila di fare l’attaccabrighe su Facebook”.
Ma, Vale, adorata mammina mia, come pensavi l’avrei presa? Mi hai tenuto sulla pancia dal primo momento, ancora lo fai, mi coccoli ogni lunedì mentre ti vedo intenta a preparare lasagne e tortellini in fretta e furia, per un esercito, tutta la tua gente. E ci hanno diviso, l’hanno fatto con una legge, pensavo sarebbero bastate poche ore, invece i giorni sono diventati mesi. E a me è tornata dentro una rabbia antica, cresciuta accanto quando stavamo in via Boccaccio, ascoltando i discorsi che facevate sottovoce in cucina tu e il papà dopo aver visto il telegiornale sul Due: “Quei porci tolgono la scala mobile. Domani si scende tutti in piazza”. Che poi quando eravate in tanti a gridare “no al caro vita”, eravate una dozzina, voi due, Anna e Mario Pigazzini, Eugenio, Francesco Laini, la Tina, Carletto Lunghi, la Tiziana, Popo Moioli, l’Angela e le sue sorelle, Enrico Avagnina e Mastalli, pochi pochi, che sono nato quando la vostra rivoluzione era quasi finita.
Comunque quegli anni nella mia memoria restano formidabili, la prima metà dei favolosi Ottanta, che una volta la settimana mi portavi dal benzinaio di via Col di Lana, il solo a Lecco che vendeva la Super mostrando fiero la tessera del Pci. “A maggio c’è il sorpasso, compagna, prepariamoci a un mondo nuovo”. Ma non è successo mai e a un punto la nostra casa si è svuotata, il babbo se ne è andato e pure Chiara, che così bella stava sempre sulla porta, ad aspettare che venissero a prenderla. E siamo rimasti soli, tu e io, nei sabati mattina, gli abbracci che mi davi mentre eri intenta con la polvere e io col Subbuteo, le lunghe chiacchierate, la vita e i miracoli delle tue amiche, la Gioconda, la Donatella, la Vera Bolognini e la Maria Andreotti.
Mamma, non si può separare quello che è iniziato come una cosa sola, è questa l’ingiustizia sentita in questi giorni lontani. E so che non posso ricordare, ma a me capita di ritrovarmi in quei nove mesi passati dentro di te. Mi immagino a ballare, che poi l’abbiamo fatto spesso, sul lettone col disco di Ricky Gianco, “siamo tutti nella merda”, cantava, è giù risate a catinelle, come la pioggia nei tanti temporali che ci hanno sorpreso insieme quando andavamo lungo i sentieri del San Martino a raccogliere le erbe e i fiori. Ci bagnavamo fradici e non ci importava, del resto siamo due liberi, che facciamo una fatica boia a stare fermi. E io da piccolo mi addormentavo sulle tue gambe, con quel movimento, ritmato, quasi un tic, che un sacco di volte ha fatto chiudere gli occhi anche ai tuoi adorati nipoti, Pietro, Anita, Vinicio e Zeno. Cullati da te.
So che stai soffrendo la clausura, mi nascondi la faticaccia che fai, ma ti conosco, sono il tuo bambino, che come te non riesce a vivere senza farsi le due ore giornaliere in giro a caso in macchina. Coraggio, che è finita, mammina Bella Ciao. Una settimana e torneremo a essere gambe, braccia, facce, mani e sguardi. Nel frattempo mercoledì festeggia con Erni il tuo compleanno, i 69 anni di una donna fantastica, generosa, allegra e affettuosa, riccia e rossa come mi immagino sia la Signora Libertà, “così preziosa come il vino, così gratis come la tristezza, con la tua nuvola di dubbi e di bellezza”.
E trovaci nella foto, noi due, insieme, nella copertina di una mostra sul movimento femminista a Lecco…

Matteo Bonfanti